Regia Joseph P. Mawra
Cast Audrey Campbell, Judy Young, W.B. Parker
Accompagnati
da una musica sinfonica drammaticamente ossessiva vediamo un'auto che si ferma
in un bosco, scende un uomo che indossa occhiali scuri e regge in mano una
ragazza legata, la schiaffeggia ma la recitazione è talmente approssimativa che
gli schiaffi non raggiungono mai il viso della ragazza limitandosi a muovere un
po di aria sul viso. Ci troviamo in una serie di fabbricati in legno, un
vecchio villaggio di minatori abbandonato, la ragazza che indossa vistose calze
a rete, viene trascinata in una casupola dove, legata ad una sedia inizierà a
subire una serie di torture ben dettagliate con primi piani espliciti di morse
e saldatori sui seni, panoramiche generose di lingerie anni cinquanta con
mutandoni giganti che ai giorni nostri non ecciterebbero neanche un bonobo in
astinenza da mesi.
Così si
presenta il primo capitolo della famigerata trilogia di Olga la dominatrice,
seguito dal quasi contemporaneo Slave girls of Chinatown e dal successivo
Olga's Girls, tutti e tre interpretati da Audrey Campbell e girati nel 1964 dal
famigerato Joseph P. Mawra, regista che ha dato corpo al suo delirio misogino
attraverso una serie di pellicole sexploitation dove la donna era poco più di
un oggetto, dove l'emancipazione era vista come un morbo e la devianza come una
malattia. Successivi a questa trilogia appartengono anche due titoli apocrifi
interpretati da altre attrici in sostituzione della Campbell M.me Olga Massage
Parlor e Olga's Dance Hall Girls. Lo stile, tipico del genere, oscillava a metà
tra documentario e fiction, ed in questo era di certo un buon anticipatore di
quello che in futuro verrà chiamato Mockumentary e soprattutto del cosidettol
Torture Porn, ma non sono solo questi due generi che verranno ispirati dal
ciclo di Olga, è riconosciuto infatti il debito che il personaggio della Nazi
Dominatrice Ilsa (Ilsa la belva delle SS e altri seguiti più o meno simili) ha
nei confronti della dominatrix di Mawra. Di certo qua non manca la fantasia
nello snocciolare prove di sadismo gretto e malsano, si usa un pò di tutto, anche
una spatola che pratica un dolorosissimo scrub alla pelle di una malcapitata, e
poi frustini, gogne medioevali, sedie elettriche, il tutto seguendo una
corrente logica per cui le torturate di oggi diventeranno torturatrici di domani
oltre alla solita morale anti-gay di Mawra per cui le lesbiche sono tutte
pervertite (e in questo caso anche sadiche).
Tutto questo
accompagnato da una buona dose di tettone che indossano bustini antistupro, legate
agli alberi, danzatrici del ventre, scene di sesso saffico abbozzate,
masturbazioni sia concettuali che fisiche, recitazioni che neanche al teatrino
della scuola erano così approssimative (per dare un'idea, la vittima della
sedia elettrica, per simulare la scossa si mette a ballare seduta!) e makeup
con sangue finto spennellato a casaccio. La protagonista Audrey Campbell,
nonostante la glorificazione del trittico cinematografico dedicato al suo
personaggio, non avrà mai fortuna nel mondo del cinema, del resto questo accade
quasi sempre quando un titolo assume valore nel tempo solo a livello
iconografico e mai a livello qualitativo. Di certo, questi bondage movies, pur
nella loro grettezza, sono una parte fondamentale di un circuito underground
che in passato sostituiva la pornografia e rappresentava per migliaia di
arrapati voyeur l'unica valvola di sfogo a un sistema moralistico e
castratore.
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