venerdì 9 ottobre 2020

DOCTOR GORE

 (The Body Shop, 1972) 

Regia J.G.Patterson Jr. 

Cast: J.G.Patterson Jr., Jenny Driggers, Roy Mehaffey 

Genere: Horror, Splatter, Commedia 

Parla di “Chirurgo inconsolabile cerca di rimettere insieme i pezzi, non della sua vita, ma quelli della sua ex moglie” 

Morto prematuramente all’età di 45 anni, J.G.Patterson Jr. non ha lasciato dietro di sé una grande eredità cinematografica.  Pur avendo fatto molti mestieri, dal montatore agli effetti speciali, il suo apporto non è mai emerso dall’oscuro mondo degli Z-Movie pur relegandolo sotto l’egida di un monolito del genere come Hershell Gordon Lewis con il quale collaborò alla produzione di The Gruesome Twosome e She Devils on Wheels. Ed è proprio al maestro del gore statunitense che si ispira l’opera maledetta di Patterson Jr., un horror uscito inizialmente con il titolo The Body Shop (che in effetti ricorda piuttosto un emporio di creme e intrugli dermatologici) e successivamente rieditato con il più esplicito “Doctor Gore”. 

Il film è una miscellanea tra Blood Feast e La sposa di Frankenstein dove il protagonista è un chirurgo di nome Don Brandon (interpretato dallo stesso regista) rimasto improvvisamente vedovo e inconsolabile, ma invece di portare il lutto sul braccio il medico si attrezza di laboratorio pieno di carabattole che sparano scintille e di apposito servitore gobbo che grugnisce roba incomprensibile con la bocca chiusa ma a quanto pare il dottore riesce a capirlo benissimo. Il primo esperimento avviene su un cadavere intero che ricoprono letteralmente di Domopack trasformandolo di fatto in una trota al cartoccio. Purtroppo la fulminazione non ottiene i risultati sperati così Brandon decide di adescare giovinette (tra l’altro è anche ipnotizzatore!) e smembrarle per recuperare pezzi di gambe, braccia e completare così il suo personale mostro di Frankenstein al femminile. Purtroppo il risultato, seppure eccelso in termini estetici, avrà delle conseguenze impreviste. Supportato da robuste dosi di manichini smembrati e litri di vernice rossa, il buon Pat si perde in lunghissime sequenze di taglia e cuci e certosini tagli con il bisturi, sequenze che per staticità e lentezza divorano internamente lo spettatore. 
Il ripetersi costante delle stesse azioni nel tempo non aiuta, a tutto questo poi si aggiungono alcuni momenti di puro trash come la scena in cui Brandon va alla porta e vediamo la sequenza montata da una parte con il dottore dall’interno che guarda fuori da uno spiraglio e dall’altra con un poliziotto che sembra parlare alla cinepresa con uno spaventoso cambio temporale (interno notte – esterno giorno). Ma il top lo si raggiunge nel finale quando il medico, non si sa come né perché, finisce in una squallida cella in compagnia di una donna delle pulizie, ad un certo punto lo stacco della macchina da presa ci mostra senza alcuna vergogna due mani che sporgono dalle sbarre tenendo in mano il ciak, si riesce anche a leggere sopra il titolo provvisorio del film ovvero “Anitra” (che poi sarebbe il nome della moglie defunta di Brandon). In questo clima tra il morboso e il ridicolo si snodano una serie di canzoncine smielate che condiscono sanguinolenti flashbacks creando un contrasto assolutamente straniante. L’idea poi, a metà tra l’Hippie e il reazionario, di una creatura femminile che appena vede un uomo ci si avventa sopra risulta la ciliegina perfetta per un’opera che nessuno ricorderà ma per quei pochi che hanno visto Doctor Gore, ci sarà sempre un pezzettino di affetto nel cuore, con la speranza, però,  che arrivi presto un chirurgo a strapparglielo di dosso. 

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