Regia: Enrique L. Eguiluz
Cast: Paul Naschy, Dianik Zurakowska, Manuel Manzaneque
Genere: Gotico, Horror
Parla di “giovane polacco morso da uomo lupo, cerca di combattere contro la sua maledizione”
La lunga e proficua carriera dell’attore Jacinto Molina è inevitabilmente legata al personaggio del Hombre Lobo e non solo per una questione puramente commerciale. Aldilà della qualità più o meno raffazzonata de La Marca del Hombre Lobo, titolo che lanciò definitivamente la carriera dell’attore con lo pseudonimo di Paul Naschy, va sottolineato il contesto storico in cui uscì questa pellicola. Siamo infatti in pieno periodo franchista spagnolo, una dittatura conclusasi nel 1975 con la morte di Francisco Franco ma che, all’epoca di produzione del film, era permeata da un’opprimente vitalità, al punto da far diventare la Spagna il terreno ideale per gestire atmosfere cupe e minacciose. Per realizzare questo film furono trovati capitali tedeschi a condizione necessaria di mascherarne la provenienza, spacciandolo come film americano, complice lo pseudonimo affibbiato a Molina ed il nome del protagonista, Waldemar Daninsky, di evidenti origini polacche.
Tanti espedienti, grandi sforzi ma ripagati da uno straordinario successo che diede vita ad una vera e propria saga dell’uomo lupo spagnolo. Fatte queste importanti premesse storiche non si può certo dire che il film sia riuscito un capolavoro. Siamo di fronte ad una trama che lega maledizioni ataviche simil vampiresche (il licantropo untore si risveglia da una bara quando gli estraggono un pugnale dal petto) ad una ridondante storia d’amore tra il povero e coraggioso Waldemar, morsicato dal lupo durante una battuta di caccia, e la Contessina Janice che non esita a disobbedire ai divieti paterni per inseguire il suo amato all’interno di un castello dove viene incatenato per impedirgli di uccidere. Il tutto mescolato a casaccio in un minestrone gotico dove, ad un certo punto, spuntano anche una coppia di vampiri di cui il maschio fa grande sfoggio del suo mantellone rosso che agita manco avesse le ali da pipistrello.
Non parliamo poi dei momenti clou del film, ovvero le apparizioni del licantropo, una specie di Mon Cicci a grandezza d’uomo che sventola le braccia a casaccio tentando di afferrare l’aria anziché le sue vittime. A tutto questo si aggiungono visibili errori nello sviluppo della sceneggiatura, nel taglio del montaggio e persino nei movimenti delle luci (che invece di illuminare gli attori illuminano il muro di fianco). Detto questo non si può che ammirare il coraggio di Naschy e del regista Enrique L. Eguiluz, i quali, assieme a Jess Franco, riuscirono a portare il cinema horror in una Spagna che ancora si leccava le ferite della Guerra Civile e si preparava a riceverne ben altre sulla schiena a causa dell’oppressione dittatoriale di Franco.
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