martedì 18 dicembre 2012

SANTA CLAUS CONQUERS THE MARTIANS

(Id. 1964)

Regia Nicholas Webster
Cast  John Call, Leonard Hicks, Vincent Beck


 Visto che siamo in un periodo di festività cosa c'è di meglio, per gli amanti del vero trash, di questo piccolo classico natalizio realizzato in puro stile old fashioned arricchito da tutti gli arredi e i costumi tipici della Sci-Fi anni' 60? Un must assoluto per tutti i bambini americani ma purtroppo, pressochè sconosciuto in Italia. In questa pellicola troviamo un Santa Claus (John Call ), appena uscito da una pubblicità della Coca Cola con tanto di nanetti barbuti e il suo onnipresente "OhOhOh!" e che viene rapito nientemeno che dai marziani con il pur nobile intento di riportare il sorriso sulle labbra verdastre dei bambini alieni.
L'astronave che vola nello spazio sembra un tubetto di dentifricio con la classica fiammella di un accendino, i costumi dei marziani sono quanto di più kitsch si possa trovare in quel periodo ma la canzoncina "Hooray for Santy Claus" che si sente nei titoli di testa e di coda è uno splendido pezzo beat cantato da un coro di bambini e non mancherà di esaltare la vostra visione (nei titoli di coda appare anche il testo per cantare tutti insieme!) di un pezzo di antiquariato cinematografico americano alla ricerca disperata di buoni sentimenti e zuccherose effusioni natalizie.
Purtroppo per "Santa Claus conquers the martians" quello che traspare è una involontaria comicità demenziale maggiormente enfatizzata dalla povertà di mezzi che non si vergogna di essere mostrata.

martedì 11 dicembre 2012

MALABIMBA

(Id. 1979)

Regia Andrea Bianchi
cast Mariangela Giordano, Katell Laennec, Patrizia Webley


Prodotto da uno specialista del genere, Gabriele Crisanti, il film di Andrea Bianchi si inserisce a tutti gli effetti nel filone dei nunsploitation, ovvero quella cerchia di film che mescolavano sacro e profano e più specificatamente suore+sesso, un connubio che, all'epoca garantiva un sicuro successo di botteghino. Nel caso di Malabimba, poi, l'elemento horror riprende le tematiche protosataniche dell'Esorcista, tanto in voga dopo il successo del film di William Friedkin, sostituendo opportunatamente il signore delle tenebre con una più lussuriosa presenza dell'antenata Lucrezia, donna lasciva e libidinosa che si impossessa del corpo della giovane Bimba (Katell Laennec) obbligandola a comportamenti poco consoni alla casata dei Caroli a cui appartiene.
L'azione si svolge tutta nel maniero di famiglia, e inizia con una sorta di seduta spiritica con tanto di medium delirante, la suora Sofia (Mariangela Giordano) sente una presenza dentro di sè ma riesce a scacciarla, questi allora trova le tenere carnine della pubescente Bimba, figlia di Andrea (Enzo Fisichella) ignara delle cose della vita avendo da sempre vissuto al castello. La giovane comincia così a masturbarsi con tutto quello che trova, un orsacchiotto (a cui infila la candela al posto del pene), un enorme puffo di peluche, spia il padre che viene irretito dalla lussuriosa zia (Patrizia Webley), si spoglia nuda a una festa di vecchi nobilastri e finisce a praticare un blow-job allo zio paralizzato (tutto tranne lì eh!) che se la muore godendo.
Alla fine riesce a farsi anche la procace suora trasferendo il malvagio spirito dentro di lei. Nonostante la trama pervasa da elementi occulti, l'horror è ai minimi termini virando invece verso il porno esplicito (anche se si narra che dette scene furono eseguite da controfigure), il che non è necessariamente un male, magari non saremo di fronte a un capolavoro di genere ma il film di Bianchi mantiene le aspettative promesse cimentandosi in lunghe e patinate scene di sesso che non disdegnano particolari scabrosi, La Giordano inoltre è un'icona prosperosa del genere, qui decisamente al suo meglio. Anche la giovane Laennec riesce a mantenere alta l'attenzione con momenti lesbo allo specchio, masturbazioni ravvicinate e uno sguardo perso tra il birichino e l'innocente. Menzione d'onore anche alla Webley (che troveremo anche in Salon Kitty ), procace similteutonica bellezza generosa in quanto a mostrare le sue grazie in calzamaglia. Insomma un prodotto a uso e consumo di un pubblico voyeur, d'accordo, ma curato nella confezione e lineare nella sua narrazione, non annoia e fa bene alla circolazione, cosa volere di più dalla vita e sopratutto dal cinema italiano di genere? 

mercoledì 5 dicembre 2012

TEENAGE MONSTER

(Id. 1958)
Regia Jacques R. Marquette
Cast Anne Gwynne, Stuart Wade , Gloria Castillo

Il film viene introdotto da una didascalia in cui si afferma che i fatti narrati appartengono ad una leggenda ma che di fatto potrebbe essere accaduta. Difficile crederci quando si assiste alla triste storia del figlio di un cercatore d'oro che si becca uno strano meteorite (più simile ad una stella filante però...) in faccia. A seguito dell'esplosione il padre muore e il ragazzino, di nome Charles, si tramuta in un mostro che sette anni dopo vediamo alto due metri, peloso come uno yeti che  si esprime come Chewbacca (magari Lucas si è ispirato a questo film per il personaggio di Star Wars!) e dimostra un insolito istinto omicida che sfoga ai danni dei passanti che incontra.
Da parte sua, la madre cerca di nascondere il figlio agli occhi di tutti. Quando però Charles rapisce la giovane e avvenente Kathy, la donna paga il silenzio della ragazza dopo averla liberata, quest'ultima però usma la possibilità da una parte di arricchirsi, dall'altra di liberarsi del fidanzato taccheggiatore. La sordida Kathy convince così Charles a uccidere il boy-friend  e comincia a inculcargli in testa il fatto che sua madre non lo ama spiandola mentre tresca con lo sceriffo del paese. La conclusione sarà amara e sorprendentemente crudele (almeno per la ragazza). Drammone ambientato nel vecchio west con tanto di pepite d'oro, sceriffo con la stella di latta e abiti d'epoca, il film oscilla tra il tragico ed il patetico che sfocia nel grottesco grazie anche alla comica interpretazione di Gil Perkins,il quale più che mugugnare e agitarsi come un ossesso non riesce a fare, anche gli omicidi fanno quasi ridere talmente è goffo nel cercare di strangolare e spezzare colli alla gente.
In questo non lo aiuta il make up che lo dota di un parruccone e guanti pelosi degni del licantropo de "La croce dalle sette pietre". Unico film diretto da Jacques R. Marquette, direttore della fotografia per Roger Corman, Teenage Monster  appartiene al filone dei mostri adolescenziali tanto in voga nella seconda metà degli anni cinquanta. Di originale, oltre all'impianto narrativo da tragedia shakespeariana, ha anche lo strano miscuglio tra horror, fantascienza e western, oltre ad un ottima sceneggiatura che, almeno nelle intenzioni, sviluppa un buon ritmo e notevoli intuizioni. Brave e belle le due protagoniste Anne Gwynne (la madre del mostro) e in particolare Gloria Castillo dallo sguardo espressivo e inquieto che ben rappresenta il perverso personaggio della sordida Kathy.

martedì 27 novembre 2012

ARRAPAHO

(Id. 1984)

Regia Ciro Ippolito
Cast Urs Althaus, Daniele Pace, Tinì Cansino

Strano destino quello dei membri dello pseudo gruppo trash demenziale Squallor, paradossalmente i nomi legati a uno dei combo più scriteriati e irriverenti mai apparsi in Italia erano per la maggior parte produttori musicali e compositori di primaria importanza, Daniele Pace scriveva brani per la Cinquetti e Loredana Bertè (sua la mitica E la Luna Bussò),  Giancarlo Bigazzi invece compose Lisa dagli Occhi Blu e Luglio mentre invece Totò Savio firmò maledetta Primavera. A questi nomi poi si aggiunsero alcuni insospettabili come Gianni Boncompagni e, per un breve periodo anche Gigi Sabani. Insomma, mai il detto "le apparenze ingannano" fu più rivelatore per quanto concerne uno dei gruppi Cult degli anni '80.
Il film "Arrapaho" rappresenta, in questo contesto, l'apice del loro successo, che esulava dalla pura exploitation divenendo un vero e proprio fenomeno di costume in cui il brutto fa tendenza e l'idiozia diventa il tormentone definitivo di una cultura che andava imbarbarendosi sempre di più fino a toccare il punto di non ritorno. Ecco, "Arrapaho", in un certo senso, è il punto di non ritorno del cinema italiano di serie Zeta che conobbe grande successo e diffusione fino agli anni 90. Incapace di strappare una risata anche ad un decelebrato, l'immondo film di Ciro Ippolito, regista del cult del fanta-spaghetti  Alien 2 sulla terra, è un putrido collage dei migliori brani tratti dalla discografia degli "squallidi", resa purtroppo nel modo peggiore grazie all'estrema cagneria degli attori, non tanto del protagonista Daniele Pace (Palla Pesante) che come comico non avrà avuto futuro (pace all'anima sua) ma come logorroico tritapalle era messo benissimo, quanto per quello stuolo di attorucoli presi non so da quale cloaca estera che ciondola inutilmente nel film (tipo quello che interpreta Latte Macchiato) esemplificati mirabilmente dalla draiviniana Tinì Cansino che ha almeno il buon gusto di farsi vedere nuda in una delle migliori scene, quella della cascata con sottofondo di "O Tiempo se ne va".
Nota a parte invece meritano gli stacchetti pubblicitari e in particolare il divertentissimo Tranvel Trophy in cui il guidatore apre le porte e cicca in faccia il ciccioso passeggero che vuole disperatamente salire. Per il resto la saga dei Froceyennes e degli arrapaho è facilmente dimenticabile e si riassume perfettamente nel titolo finale "The Gay After", mal realizzata parodia di usi e costumi e film al tempo attuali ma presto relegati nel dimenticatoio della piattezza comune.

martedì 20 novembre 2012

STAR BABE

(Id. 1977)
Regia Jack Genero
Cast Christine Kelly, Tomi La Roux, Cindy Lynn

Impossibile per l'allora nascente mercato cinematografico del porno resistere alla tentazione di rivisitare in chiave tripla X lo straordinario successo di Guerre Stellari, del resto cosa serviva per farlo? Un paio di maschere comprate in cartoleria, un vestito da scimmione usato in decine di pellicole e un trio di belle gnoccolone discinte che indossano caschi di plastica da saldatore. L'ambientazione poi si sviluppa tra esterni rubati all'archivio video della Nasa, conditi dalla solita voce fuori campo che ci fa uno pseudo spiegone serio, un interno astronave che sembra una cameretta con tanto di lettini a castello e sedie da ufficio high-tech, computer primordiali e pulsanti a leva rumorosi. 
La grafica computerizzata poi, talmente arcaica neanche a paragonarla ai videogiochi di quei tempi, il tutto introdotto da una serie di noiosissimi dialoghi che condiscono i primi dieci minuti mentre il pubblico in sala continua a chiedersi quando si inizia a scopare. E intanto giù di buchi neri, satelliti artificiali e reggiseni da striptease, questo per 9 minuti, poi un abbozzo di lesbo tra due bonazze stellari mentre ai loro piedi il finto scimmione se la russa alla grande, mentre viene praticato un cunnilings sentiamo in sottofondo i doppiatori che urlano e sbuffano totalmente fuori controllo, finchè la scimmia non si sveglia e finalmente si concede un threesome.
A quel punto l'astronave giunge sulla terra, gli attori simulano l'atterraggio vibrando le braccia a più non posso mentre sullo schermo compare la solita sequenza di stock footage accompagnati da una musica d'organo assordante. Armate di avveniristiche pistole ad acqua le tre babe si dirigono in un bar terrestre chiamato "The Anus" (!!!) dove, in un'atmosfera che vuol rinverdire il celebre bar spaziale di Star Wars incontrano tipi vestiti in modo assurdo fra cui il barista con la mascherona di gomma di Nixon, un tipo vestito con un lenzuolo e la maschera da guardia imperiale rubata tra gli scarti del film di George Lucas, robottini e formichieri umani che leccano patonze, poi una sorta di chewbecca che fuma il sigaro porta in camera le ragazze e tutte e tre si mettono a far pompini ad alieni e mostri vari. A quel punto arriva anche una brutta copia di Darth Vader accompagnato dalla guardia lenzuolata che rapiscono una delle babe, la quale per riuscire poi a fuggire dovrà stancare a colpi di sesso i suoi aguzzini. Ritornate nello spazio, le tre ragazze creano un gigantesco fallo nella galassia mentre il povero regista Jack Genero chiude in bellezza snocciolando in sequenza tutto il suo archivio di immagini di repertorio spaziale.

martedì 13 novembre 2012

IL MONDO DI YOR

(Id 1983)
Regia Antonio Margheriti
Cast Reb Brown, Corinne Cléry, Luciano Pigozzi

 Tratto dagli splendidi fumetti di Ray Collins e Juan Zanotto editi su Lanciostory a partire dagli anni '70, il film di Antonio Margheriti coglie a fagiolo l'occasione per sfruttare la vigente moda del post atomico per realizzare finalmente uno dei più importanti tasselli della sua lunga carriera, ovvero trarre un film da un fumetto, pratica allora molto rara ancora (però Spider-man l'avevano già fatto, almeno un tentativo) e comunque piena di risultati non incoraggianti ( a parte Bava con lo splendido Diabolik e Lenzi col discreto Kriminal).
Le gesta del preistorico cacciatore biondo (interpretato da Reb Brown) che combatte dinosauri di cartapesta in un mondo non bene imprecisato, con al fianco la splendida Corinne Clery e uno stuolo di pelosissimi quanto ridicoli barbari, diventa per l'Italia un mini serial di 4 puntate da un'ora ciascuno oltre ad un lungometraggio per il mercato estero che diventerà sorprendentemente un grande successo. Merito sopratutto della curiosa commistione tra fantasy, avventura e fantascienza che rendono il progetto particolarissimo nonostante che la consueta carenza di mezzi renda la confezione tutt'altro che un blockbuster. La scelta poi infelice di creare dinosauri a dimensione reale, in legno e gommapiuma, per rendere maggiormente enfatico il rapporto di fisicità tra mostro e attore, non rende sicuramente con il più nostalgico ma molto più efficace passo uno. Insomma mostri che aprono e chiudono la bocca come se fosse una persiana non aiuta sicuramente l'immedesimazione dello spettatore in un mondo selvaggio dove Yor è alla perenne ricerca dell'altra metà del medaglione che rappresenta lunica testimonianza delle sue origini.
Origini che, come scopriremo in seguito, appartengono ad una civiltà evolutissima quanto aliena, stabilitasi sul pianeta dopo le solite guerre atomiche che avevano devastato la terra natale. Altra scelta infelice, oltre alla comicità involontaria di vedere preistorici con barbe posticce, è l'attore protagonista, ridicolo col suo parruccone glam quanto idiota nella sua recitazione. Peccato perchè il buon Margheriti ce l'ha messa tutta per fare un bel film, e qua e là il genio torna a galla, il ritmo è buono e il film riesce a non annoiare. Insomma Yor, nel suo genere si staglia sopra la (bassa) media del periodo e la derivazione sci-fi del finale riesce anche a salvare il tutto con effetti più che discreti.
Nell'elenco del cast troverete un sacco di nomi strani...niente paura, il film è stato girato interamente in Turchia.

mercoledì 7 novembre 2012

GODMONSTER OF INDIAN FLATS

(Id. 1973)

33 anni prima del mediocre Black Sheep c'era già qualcun altro che aveva portato sullo schermo le pecore mutanti, ovvero il filmaker e artista Fredric Hobbs con questo suo delirante scult, ibrido demenziale tra western, thriller, horror e fantascienza, tutto miscelato perfettamente in un'atroce salsa weirdo che ne rende la visione imperdibile. La storia, inaspettatamente, è ben articolata e inizia con il pecoraio Eddie che, dopo una vincita alle slot machine, finisce ad ubriacarsi in un saloon (l'ambientazione però è ai giorni nostri, o meglio, degli anni settanta) dove tentano di rapinarlo, lo pestano e lo sbattono fuori.

Lo riaccompagna a casa il professor Clemens che ha un laboratorio scientifico nei pressi di un sito indiano, arrivato nel recinto delle pecore non si sa bene quali siano le intenzioni di Eddie ma quando prende su un agnellino comincia a vedere luci e ossa svolazzanti, pecore che gli volano addosso e strane forme lisergiche.

In preda allo shock sviene e il mattino dopo si ritrova con uno strano embrione di pecora insanguinato. Dopo averlo tirato su, il Professore porta la cosa nel suo laboratorio. Mentre il mostro prende forma assistiamo ad una serie di intrighi che vedono protagonisti il boss del paese, un nero pistolero che sembra uscito da "Mezzogiorno e mezzo di fuoco", un baffuto psicopatico e un cane che si becca una pallottola vagante, gli fanno il funerale in chiesa e si scopre che era vivo nella cassa. Il colpevole è il nero che viene assalito dal baffuto il quale ordisce un tranello e lo fa arrestare. Nottetempo arrivano dei pistoleri mascherati che lo prendono dalla cella e vogliono impiccarlo ma la pecora mutante si libera e comincia a uccidere tutti.
Un gruppo di cowboys armati di lazos catturano la pecora che viene esposta davanti alla gente del paese, a un certo punto scoppia un casino e la gente butta la pecora giù da un burrone facendola esplodere mentre il boss del paese sghignazza come se fosse il padrone del mondo. Giusto per dare un'idea del delirio vi basti sapere che una delle scene più scult vede il nero in prigione che cerca di attirare, cantando, l'attenzione del carceriere in canotta intento a mangiare, mentre la seconda scena weirdeggiante ci mostra invece l'assistente di Clemens che si mette a ballare con la pecora mutante. Non parliamo poi di quando il pecorone mannaro si rivela per quello che è, un claudicante costumone in cartapesta con la lingua di fuori e le braccia anteriori scompagnate che il poveruomo all'interno sventola come bandiere. Che dire poi del montaggio fatto a culo di cavallo come del resto mostra in primo piano il buon Hobbs in numerose sequenze, ovvero quando non è impegnato a riprendere parate in costume da vecchio west prese chissà dove. Lento come la morte, noioso oltre ogni dire, Godmonster ha dalla sua l'unicità del risultato e la creatura più ridicola che la storia del cinema ricordi.

martedì 30 ottobre 2012

LE ALI DELLA NOTTE

(Nightwing, 1979)
Regia Arthur Hiller
Cast: Nick Mancuso, David Warner, Kathryn Harrold

"I Pipistrelli vampiro sono la quintessenza del male, ti succhiano tutto il sangue e pisciano quello in eccesso lasciando in giro odore di ammoniaca", queste in sostanza le motivazioni che spingono il cacciatore di vampiri David Warner a portarsi con un furgoncino nel deserto del New Mexico in compagnia di uno sceriffo pellerossa a caccia di mostruosi chirotteri che dapprima si accontentavano di mucche e cavalli, poi si sono rivolti verso gli indiani di una riserva lasciando dietro di sè una scia di peste, acido e morte.
Arthur Hiller dirige questo eco-vengeance di fine anni settanta, tratto dal romanzo "L'ala della notte" di Martin Cruz Smith, prima di essere baciato dal successo di Gorky Park. Purtroppo nonostante ci sia tutto per realizzare un buon film, pipistrelli assassini, magia indiana e splendidi paesaggi selvaggi, il film non decolla e cade addirittura nel ridicolo con l'apparizione degli spettri degli antenati nel finale.

Carlo Rambaldi si occupa di realizzare i mostriciattoli alati ma purtroppo non fa un gran bel lavoro, i pipistrelli sono troppo cicciotti  e pelosi per far paura e sbattono le ali meccanicamente senza nascondere troppo la loro natura artificiale, manca la suspance e pure l'azione, non bastano gli anatemi del solito vecchio indiano a creare tensione, oltretutto alla fine i morti sono pochissimi (per un film del genere) e a parte uno o due casi, il decesso non è neanche attribuibile ai vampiri se non collateralmente. Si salva solo la sequenza dell'assalto al bivacco di stupidi turisti portati nel deserto di notte, abbastanza trucida nel suo insieme ma che rappresenta solo un guizzo di vivacità in un film decisamente morto. La pellicola uscì in Italia decisamente in sordina, con il titolo "Le ali della notte".

martedì 23 ottobre 2012

THE MACHINE GIRL

(Kataude mashin gâru, 2008)
Regia Noboru Iguchi
Cast Minase Yashiro, Asami, Kentarô Shimazu

La vendetta è un piatto che si consuma freddo...come il sushi, chi meglio dei giapponesi può dunque rappresentare adeguatamente questo feroce sentimento nelle proprie arti? Non a caso infatti, il tema della rivalsa di un torto subito, il vendicare la morte dei propri cari sono leit motiv ricorrenti nel cinema orientale, espressi frequentemente in modo truce e violento, con grande spreco di sangue e frattaglie ma anche di sentimenti duri che rasentano la parodia come nel caso di questo spassosissimo filmaccio di Noboru Iguchi, regista che ha esordito nel porno fino ad arrivare allo splatter per poi estremizzare la propria verve artistica nel trash più assoluto con il delirante RoboGeisha.

In The Machine Girl la storia è molto semplice, quasi un pretesto per mostrare eccessi fino in fondo, la protagonista Ami è una ragazzina che insieme al fratello Yu è rimasta orfana poichè i genitori, accusati ingiustamente di omicidio, si sono suicidati.I due teen-ager vivono quindi ai margini, evitati dalla comunità come appestati. A rincarare la dose c'è poi il figlio di uno Yakuza, Sho Kimura, che fa il bulletto con Yu. Durante una collutazione Sho uccide Yu e l'amico Takeshi, la sorella per vendicarsi si intrufola in casa Kimura ma viene catturata, torturata e gli mozzano un braccio. Più morta che viva viene raccolta dai genitori di Takeshi che la curano e costruiscono una mitragliatrice da innestare nel moncherino. Ami diventa quindi una macchina di morte in grado di sgretolare letteralmente un essere umano, forare stomaci (citazione da Apocalypse domani) e maciullare corpi.

Sin dalle prime immagini ci troviamo di fronte a una festa splatter senza alcun ritegno, a Iguchi non importa nulla della credibilità, l'importante è giocare con infiniti spruzzi di sangue, i  corpi diventano fontane di emoglobina, gli arti saltano via come mollette, gli attori più che recitare urlano come ossessi, ma il festival del non sense arriva a estremi paradossali  come il braccio che infilato nell'olio bollente si trasforma in tempura. Ovunque spuntano citazioni tarantiniane, alcune quasi rasentano il plagio come la madre di Takeshi, Miki, che dopo aver perso la gamba, si infila nel moncherino la sega elettrica come in Planet Terror con il mitragliatore. Iguchi spazia da Lucio Fulci a Sam Raimi senza alcun tipo di inibizione, quasi uno sfogo nei confronti di un cinema troppo ancorato ai suoi sistemi di autocontrollo. E se sullo schermo, tra uno spruzzo e l'altro non si intravede nulla di nuovo, almeno ci si diverte un casino.

martedì 16 ottobre 2012

JESSE JAMES MEETS FRANKENSTEIN'S DAUGHTER

(Id 1966)
Regia William Beaudine
Cast John Lupton, Narda Onyx, Cal Bolder


William Beaudine è un altro di quei registi capace di dirigerti 10 film all'anno, non a caso lo chiamavano "One Shot" forse per l'approssimazione delle riprese ma anche per la velocità con cui confezionava questi prodottini per il mercato dei Drive-In. Per intenderci uno dei registi della cosiddetta epoca "Grindhouse" tanto declamata da Tarantino, ed infatti questo delirante titolo, frutto di una curiosa commistione tra l'horror stile RKO e il western tipo Henry Ford, si accoppiava perfettamente con un altro, girato nello stesso anno, quel Billy the Kid versus Dracula che accompagna una lista di 350 film girati da Beaudine nel corso della sua lunga e anonima carriera di mestierante. L'aura di cult nel corso degli anni, questo film, se l'è guadagnata quasi totalmente per la demenzialità del titolo, in realtà il film non è poi così male, la storia regge bene con un Jesse James attempatuccio (John Lupton) che, mentre compie una rapina con il fido Hank (Cal Bolder), cade in un'imboscata. Hank viene ferito gravemente e il buon jesse non trova di meglio che cercare un dottore sulle colline di un paesino del messico.
Qui la figlia del mitico dottor Frankenstein, Maria (Narda Onyx), in compagnia del fratello, sta cercando un corpo prestante in cui inserire il cervello del suo schiavo Igor. L'occasione di dover curare il muscoloso Hank è ghiotta per la scienziata, ma il celebre bandito, aiutato per l'occasione da Juanita (Estelita Rodriguez) una avvenente ragazza latina, riuscirà alla fine a sconfiggere il mostruoso risultato di questo folle trapianto.
Nonostante l'ilarità di alcune scene (i genitori di Juanita sono visibilmente dei cani a recitare) e l'approssimazione di alcune inquadrature (dove si vede di straforo qualche membro della troupe accidentalmente inquadrato) il film risulta alquanto godibile, siamo comunque di fronte a una delle prime commistioni tra generi diversi, cosa oggi alquanto in voga ma che allora rappresentava sicuramente un'innovazione senza precedenti.   

martedì 9 ottobre 2012

VOCI DAL PROFONDO

(Id. 1991)
Regia Lucio Fulci
Cast Duilio Del Prete, Karina Huff, Pascal Persiano

Un oggettino di difficile collocazione questa pellicola di un Fulci ormai sul viale del tramonto ma ancora straordinariamente attivo. Non propriamente un horror anche se pregno di elementi distintivi del genere, non precisamente un giallo e nemmeno un drammatico ma tutto quanto insieme in un piccolo minestrone (ma sarebbe più giusto definirla una minestrina!) senza sale, certamente non un bel film ma neanche una schifezza.  Mal cagato dai suoi connazionali, ignorato dalla stampa specializzata, il buon Lucio si pone, negli anni novanta, in una sorta di purgatorio del cinema, nascondendosi in piccole e mediocri produzioni dove può comunque divertirsi senza però l'entusiasmo di una volta.
Ecco dunque che questo "Voci dal profondo" tratto da una storia scritta e sceneggiata dallo stesso regista, si presenta come un mediocre film di cassetta dove assistiamo ad una lotta per l'eredità del cinico Giorgio Mainardi che, un bel giorno, muore improvvisamente per un'emorragia interna ma i suoi pensieri continuano a fluttuare nell'aria cercando disperatamente la verità attraverso l'amata figlia Rosy, tutto questo prima che il corpo sepolto venga progressivamente divorato dai vermi.
Ovviamente la ragazza scoprirà uno scontatissimo complotto della matrigna, inutile dal momento che prima di morire il Mainardi aveva nominato come sua unica erede proprio l'adorata Rosy.Più che nella trama vera e propria l'horror fulciano esiste attravero flashbacks e sogni che assalgono i protagonisti, vediamo quindi, sin dalle prime immagini Mainardi che fa all'amore con la moglie Lucy ma viene disturbato dal pianto del figlioletto bastardo, si alza quindi dal letto prende un coltello e va nella stanza del bambino per sventrarlo sotto i nostri occhi. Non va meglio al figliastro Mario che viene assalito in sogno da un gruppo di zombi che lo divorano.

Per il resto si evidenziano sopratutto la staticità degli eventi (ergo non succede un cazzo!) e la banalità dell'impianto giallistico. Nonostante questo il buon Lucio sa ancora come rendere insostenibile un'autopsia (che gira partecipandovi nel ruolo del chirurgo) e a dare vita agli incubi più surreali della mente umana in questa sua penultima opera che ringrazia nei titoli di coda lo scrittore Clive Barker e si conclude con una risata al cimitero, segno che quando si chiude il proprio ciclo vitale è meglio prendere le cose con la giusta dose di ilarità. Da notare la presenza nel cast del mega direttore galattico fantozziano Paolo Paoloni.

martedì 2 ottobre 2012

EL BARON DEL TERROR

(Id. 1962)

Dando un'occhiata veloce alla carriera di Chano Urueta si trovano qualcosa come 117 film diretti dal 1928 al 1973, un'enormità che non stupisce in un mercato prolifico come quello messicano, stupisce invece che l'opera di questi veri artigiani del cinema a basso costo non vengano mai incensati dagli amanti del B movie, sopratutto quando realizzano titoli deliranti e bizzarri come questo "El Baron del Terror", uscito sul mercato estero con il titolo "Brainiac" e dotato di tutte le caratteristiche organolettiche per essere un cult assoluto, un vero e proprio canto del cigno della bruttezza e dell'imbarazzo cinematografico. La trama narra della solita vendetta di un barone pazzo, dedico a pratiche stregonesche nel lontano 1661 dove lo troviamo al cospetto dell'inquisizione incappucciata di nero, giusto per farci un pò paura. Dopo un processo sfiancante (per lo spettatore) il barone Vitelius d'Estera (Abel Salazar)  guarda in alto e subito viene inquadrata la cometa di Halley (evidentemente i processi d'inquisizione a quei tempi si tenevano a cielo aperto).
A questo punto il diabolico barone sferra la sua maledizione che colpirà i discendenti di coloro che l'hanno condannato. Puntuale come un orologio, nel 1961, il nostro cattivello risorge in contemporanea con il passaggio della cometa (che però svanisce!) ma arriva sottoforma di una creatura talmente brutta e malfatta da meritare l'oscar del ridicolo per i prossimi 300 anni. Praticamente il mostro si presenta in completo con cravatta ma al posto della faccia una sorta di volto da diavolaccio con nasone prominente, orecchione a punta pelose e una lingua biforcuta penzolante che infila nel collo delle sue vittime per succhiargli fuori la massa celebrale che il buon barone conserva in una specie di coppa dove ogni tanto ne assaggia una cucchiaiata.
Se fin qui pensate di aver visto il peggio vi sbagliate perchè il barone, oltre a tramutarsi in mostro sa anche ipnotizzare ed il regista per meglio chiarirci stò fatto ogni tanto fa passare un bagliore luminoso sullo sguardo di Vitelius fino alla scena clou, in termini di bruttezza, dove lo vediamo ipnotizzare il marito di una delle sue vittime, avvinghiarsi a lei per baciarla per poi trasformarsi in un mostro e avventarsi al collo con la sua oscena linguaccia, a parte la goffaggine dei movimenti degli attori ad un certo punto si vede chiaramente che al marito immobilizzato sta per scoppiare una risata.
A sorpresa nel finale il regista riesce a buttarci una scena decisamente inquietante quando l'ultima dei discendenti apre la stanza del suo bagno e trova il marito appeso a testa in giù nella vasca. Sul finale irrompono due poliziotti agghindati come Ghostbusters con tanto di lanciafiamme che arrostiscono il demoniaco barone lasciando per terra un mucchietto di cenere e tutte le lacrime degli spettatori, lacrime di disperazione ma sopratutto per il troppo ridere.




martedì 25 settembre 2012

PLANKTON CREATURE DAGLI ABISSI

(Id. 1994)
Regia Massimiliano Cerchi
Cast Clay Rogers, Michael Bon, Sharon Twomey

Era destino che la grande epoca del cinema di genere dovesse terminare negli anni novanta con una serie di incredibili trashoni, estrema ratio di un'attitudine povera ma assolutamente priva di pudore che, in periodi diversi, avrebbe fatto la differenza. Gli ultimi dieci anni del vecchio millennio vissero quindi con orrore gli ultimi scampoli di una cinematografia ormai asserragliata dai ridondanti kolossal americani. Non bastava dunque trasferire i registi all'estero come fece a suo tempo Fragasso o Passeri, per dare un'immagine credibile a questi prodotti, il risultato era comunque diastroso, come testimoniano Troll 2 o questo Plankton Creature degli abissi, sorta di rielaborazione marittima di Alien e compagnia bella diretto dal nostrano (o nostromo?) Massimiliano Cerchi (che si firmava con lo pseudonimo Al Passeri) , produttore e tecnico degli effetti speciali per operine come "Wild Beasts Belve feroci" e "Il cacciatore di squali". Trasferitosi in Florida, il buon Alvaro realizza l'ennesimo monster movie ambientato in territori aquatici con cinque ragazzotti stupidi e vestiti in modo imbarazzante che decidono di fare un giro in alto mare su un gommone.

Come si vede nelle prime scene (il pesce attaccato alla rete che ci dovrebbe già avvisare di cosa ci accingiamo a vedere!) il gruppo dimentica la benzina sulla spiaggia e infatti la sequenza successiva li vede dispersi in alto mare in piena notte. Per fortuna avvistano un lussuoso yacht adibito a ricerche oceanografiche anche se, quando ci salgono sopra scoprono che la nave è disabitata. Poi il regista comincia a minacciarci con strani flashback di gente che urla e soggettive del mostro che gironzola ansimando per la nave, girate attaccando il fondo di un bicchiere alla telecamera.

Non contento di ciò ci piazza sulla nave una doccia che parla come se avesse un orgasmo e un pesciotto elettronico con un occhio solo che dice minchiate ogni qualvolta si passa accanto. Con queste premesse trovare nella stiva una serie di pesciacci congelati in stile "laboratorio alieno" non è poi così inaspettato. Quando poi i ragazzi friggono pesci che in padella e li vedono improvvisamente rianimarsi nell'olio bollente non ci si deve manco poi sorprendere, nemmeno se dopo una delle ragazze che si è sparata un branzino comincia a vomitare liquido giallo e scarafaggi di gomma. Insomma si parte con il festival delle mostruosità trash ed in Plankton ce ne sono davvero tante: pesci che svolazzano per le stanze, abat jour con enormi peni luminosi, mostri che fuoriescono dalla bocca durante il coito e cominciano a fare versacci da montone arrapato, creature che escono dalla schiena con chele di gomma, ragazze che si smerdano di plankton dalle mutande. Forse dopo la visione non vi verrà voglia di un fritto misto ma il divertimento è garantito.