venerdì 29 agosto 2025

SOMETHING WEIRD (1967)

Regia Hershell Gordon Lewis 

Cast Tony McCabe, Elizabeth Lee, Mudite Arums 

Parla di “veggente sfregiato incontra Strega che gli ridà la bellezza in cambio di amore per poi indagare, sotto effetto dell’acido, sulle gesta di un misterioso serial killer” 

Buffo come il film meno “weird” di Hershell Gordon Lewis abbia proprio questa parola nel titolo, titolo che ha poi ispirato la nota casa distributrice di filmacci di serie Zeta et similia in America (La Something Weird Video). Uscito successivamente a The Gruesome Twosome ma nello stesso anno, Something Weird vede il padrino del gore abbandonare budella di manzo e lingue di pecora a favore di una trama più articolata, che mescola paranormale, stregoneria, psichedelia e thriller, il tutto contraddistinto dalla solita povertà di mezzi che ogni film del buon Lewis deve sopportare. Dopo titoli di testa inquietanti dove vediamo un omicidio attraverso l’inquadratura delle gambe del serial killer che strozza una tizia in minigonna, il film si accentra sul protagonista Mitchell (Tony McCabe) il quale, mezzo folgorato e sfregiato da un cavo dell’alta tensione, si sveglia in ospedale con il dono della preveggenza con cui, successivamente, cerca di sbarcare il lunario, coperto da un fazzoletto sul viso per nascondere il volto deturpato. 

Un brutto giorno viene a trovarlo una vecchia pustolosa (o almeno l’attrice Mudite Arums che si presenta con il solo volto truccato dando l’effetto di una vecchia con il corpo di una quarantenne) che gli propone un patto: Mitch riavrà la sua bella faccia ma in cambio amerà solo lei, ovviamente trasformata nell’avvenente Ellen Parker (Elizabeth Lee). Con questi presupposti Mitch viene incaricato dalla polizia di scoprire l’identità di un serial killer che ha già ucciso sette ragazze (di cui una con un lanciafiamme o qualcosa di molto simile). Nel frattempo la popolarità del veggente cresce al punto da presiedere una seduta spiritica dove Lewis si scatena in una sorta di effetto di levitazione creato in sovrimpressione con risultati piuttosto discutibili (l’immagine di Mitch viene praticamente proiettata sul muro e viene sollevato alzando probabilmente il proiettore stesso). Il punto migliore del film resta comunque l’incontro con uno spettro di donna che imperversa in una chiesa chiedendo solo un contatto umano (siamo di fronte ad un H.G. Lewis estremamente poetico!). 

Per aumentare la sua percezione extrasensoriale Mitch assume dell’LSD e in un tripudio di immagini virate al rosso e caleidoscopizzate, scopre l’identità dell’assassino. Trucchi ed effetti a parte (già questi raffazzonatissimi), anche le ambientazioni risultano poverissime (l’ufficio della Polizia sembra un box tirato a rustico) per non parlare poi di momenti di altissimo trash come lo sfiancante inseguimento finale e i colpi di pistola realizzato con l’effetto sonoro di un tappo che salta. Il finale comunque rimane beffardo e cattivello al punto giusto e, cosa non meno importante, qui Lewis dimostra anche una certa vena anarcoide e anticomformista in quella che, a tutti gli effetti, è una critica alla società dell’immagine ormai radicata sul suolo americano e oltre. 

venerdì 1 agosto 2025

UNA SECONDINA IN UN CARCERE FEMMINILE

(Frauengefang, 1975) 

Regia Jess Franco 

Cast Lina Romay, Martine Stedil, Roger Darton 

Parla di “giovanotta ammazza fidanzato rapinatore e finisce in carcere duro dove tutti cercano di strapparle il segreto del nascondiglio di preziosi diamanti trafugati” 

L’accoppiata Jesus Franco/Lina Romay colpisce ancora, tanto per cambiare con l’ennesimo Woman in Prison (per gli amici dell’acronimo: WIP) che tanto piacevano al maestro spagnolo e che, ovviamente, tanto piacevano anche ad un certo tipo di pubblico, decisamente di bocca buona. Tutto inizia con una rapina, tre loschi individui con anonime maschere bianche, fuggono con una valigetta, due vengono uccisi dal complice ma questi quando scopre che la valigetta è vuota, viene colpito a sua volta dalla fidanzata Shirley (Lina Romay), a bruciapelo. Subito dopo Shirley chiama la polizia e si costituisce, asserendo di averlo ammazzato per gelosia. 

Viene quindi relegata in un carcere femminile (e dove se no?) che, agli occhi del mondo, dovrebbe essere un modello virtuoso di penitenziario (a sentire la voce narrante quasi un centro vacanze) ma che sotto sotto nasconde turpi segreti. Il direttore, che sembra un giovialone, in realtà è un sadico che frusta a sangue le prigioniere ed arriva a mettere dei cavi elettrici nella vagina di Shirley per aver nascosto un biglietto segreto. Una cosa è certa, tutti vogliono sapere che fine hanno fatto i diamanti, ritenendo che Shirley ne sappia qualcosa. Accompagnato da una musichetta talmente stucchevole da rasentare l’incubo (opera di David White) rosa di qualsiasi porno, il film procede piuttosto svogliatamente, soprattutto nel segno dell’eros, elemento che di solito è molto preponderante nel genere. 

Qui ci si limita a qualche zoomata sul pelo pubico delle carcerate, che ovviamente dormono tutte nude per il caldo, non manca qualche accenno saffico (arricchito da integrazioni più spinte dove compare un misterioso sedere dotato di immondo brufolone nerastro!) con la bellissima Martine Stedil che verrà strangolata subito dopo dalla stessa Romay. Successivamente compare anche Tio Jess in completo azzurro e pistola in mano nei panni di un cattivissimo sicario che ammazza il direttore, non senza prima avergli fatto un pippone idealista contro il finto perbenismo di facciata. Finale da cartolina illustrata con lunghe inquadrature paesaggistiche che non servono a null’altro se non a riempire il vuoto di un minutaggio già esile. La Romay mostra tette e culo come se non ci fosse un domani ma se non altro Franco aggiunge all’estetica del film un tocco di raffinatezza, rispetto, infatti alle solite divise dei classici W.I.P. qui le prigioniere portano delle zeppolone giganti, improbabile vestiario in qualsiasi carcere femminile. 

venerdì 18 luglio 2025

THE PANTHER SQUAD (1984)

Regia Peter Knight (Pierre Chevalier) 

Cast Sybil Danning, Jack Taylor, Karin Shubert 

Parla di “terroristi eco spaziali rapiscono astronauta ma interviene squadra di cavallone per salvare capra e cavoli” 

Va bene che Sybil Danning non è mai stata attrice in film di spessore (anche se ha lavorato con Klaus Kinski ne “La notte dei Falchi” ed ha spesso intrecciato la sua strada con il cinema di genere italiano degli anni settanta) ma giungere addirittura a produrre questa action/schifezza di matrice belga, rasenta il pedice di una carriera tutto sommato dignitosa, almeno fino a qui (due anni dopo parteciperà a quell’altra schifezza simil-horror di Fred Olen Ray intitolata La Tomba). 

Prodotto realizzato esclusivamente per il mercato Home Video, da posizionare ad un passo dal reparto pornografico nonostante non vi siano scene di nudo, il film parte con una sorta di distopia sociale dove una “Jeep” spaziale viene intercettata da un gruppo terroristico chiamato Clean Space che ha lo scopo di combattere l’inquinamento spaziale. Questo primo, delirante, scenario viene narrato con un alternarsi incomprensibile di sequenze dove vediamo uno speaker televisivo che racconta tutto. Poi c’è un goffo rapimento di un’astronauta che viene prima intercettata da due falsi membri del NO.ON (che è una specie di successore dell’ONU) e poi rapita da due finti barellieri di una ancor più finta ambulanza. A questo punto entra in scena la Danning tutta vestita con borchie e pantaloncini di pelle nera a menare finti calci e finte mosse di Karate in un bar dove le comparse sono quattro scappati di casa messi lì a casaccio a fingere di fare le comparse. Coadiuvata dal mascellone Jack Taylor che passa il tempo ad alcolizzarsi, la Danning (che nel film si chiama Ilona, vabbè!) introduce un gruppo di stangone in minigonna pronte a sparare e combattere anche se la prima cosa che fanno è buttarsi in piscina non appena arrivate, tanto per mostrare un po' di carnazza in costume. 

Il resto del film sono scontri a fuoco dove muoiono solo i cattivi e dove si scopre che non c’è manco un cane di attore che sappia tenere in mano una pistola, un elicottero abbattuto con un unico proiettile, inseguimenti in moto e un assurdo cattivo che sembra un dittatore sudamericano dalla recitazione che, dire fuori dalle righe, è ancora un complimento. Per fortuna la Danning ha una pistola laser con cui fa fuori tutti all’ultimo e dato che, nella jeep disintegrata c’era anche l’astronauta rapita, mi chiedo come, nella successiva sequenza, questa possa essere partita per lo spazio al salvataggio dell’astronave bloccata tra le stelle. Boh! Comunque il film rasenta l’amatorialità più gretta e fa tristezza veder coinvolta in questo circo dell’imbarazzo, anche una Karin Shubert decisamente ormai sul viale del tramonto. Dirige un sordido Pierre Chevalier, giustamente sotto lo pseudonimo di Peter Knight. 

giovedì 10 luglio 2025

IL CASTELLO DELLE MUMMIE

(El castillo de las momias de Guanajuato, 1973) 

Regia Tito Novaro 

Cast Blue Angel, Superzan, Tito Novaro 

Parla di “tre eroici lottatori devono impedire al dottore pazzo di ringiovanire a spese di giovani vittime torturate da nanetti demoniaci e cadaveri mummificati che si attivano con il fischietto dei cani” 

Quello delle mummie urlanti di Guanajuato è uno dei misteri più affascinati ed inquietanti del messico (andatevele a scoprire sul web se non le conoscete https://www.beniculturalionline.it/location-4040_Museo-delle-Mummie-di-Guanajuato.php) che ha inevitabilmente ispirato molta della cinematografia horror locale ma anche al di fuori (non a caso Herzog apre il suo Nosferatu con una terrificante quanto suggestiva panoramica proprio dei cadaveri mummificati della nota città messicana). Ecco quindi che, nella vasta e variegata cinematografia latina, las mumias de Guanajuato  trovano posto in una serie di film dove i cadaveri essiccati si trovano a combattere contro un gruppo di luchadores all’epoca considerati delle vere e proprie star. 

Nel 1972 El Santo, Blue Demon e Mil Mascaras si trovano insieme ne “Las momias de Guanajuato” a combattere con un lottatore mummificato chiamato Satan mentre nell’ anno successivo tocca al trio Blue Angel (quello con la maschera di Capitan America con tanto di A stampata in fronte), Superzan e Tieneblas (che sembra quasi un Power Ranger) affrontare le mummie risorte da un cimitero grazie al fischietto a ultrasuoni (leggasi fischietto per cani) utilizzato da un nanetto assistente del tremendo dottor Tanner (interpretato da Tito Novaro che è anche regista del film) ne “El castillo de las momias de Guanajuato”.  In realtà della celebre attrazione di Guanajuato qua non c’è proprio traccia e il titolo resta solo un pretesto alquanto plateale di attirare spettatori con false promesse. Le mummie in questione infatti sono più che altro dei morti viventi ovvero comparse vestite di vecchi e logori abiti con ridicoli mascheroni di gomma comprati nel negozio di scherzi carnevaleschi. I mostri quindi si aggirano per piccole cittadine con lo scopo di rapire giovinette (ma anche uomini e bambini) da torturare allo scopo di estrarre un particolare ormone che renderà la giovinezza perduta al malefico Tanner, ormai ridotto a un catorcio umano al punto che deve rapire il figlio di un noto chirurgo per ricattarlo e farsi impiantare un cuore artificiale. Cuore che (contrariamente alle aspettative del cardiologo che gli dava pochi giorni di vita) funziona benissimo, anche grazie all’apporto di una messa nera che lo scienziato pazzo opera la sera successiva dopo l’intervento insieme ai suoi fedeli nanetti vestiti con il classico saio da monaco.

A contrastare il folle piano di Tanner ci pensano i tre lottatori mascherati che, tra un incontro riempitivo e l’altro contro dei rozzi contendenti (tra cui uno che si chiama troglodita e ho detto tutto!), trovano il tempo di girare tutte le chiese della zona per scoprire quale di queste ha officiato una messa di mezzanotte (il cardiologo infatti, durante la prigionia, sentiva le campane di una chiesa in piena notte). Scoperto il covo segreto di Tanner, il trio si trova all’interno di una vera e propria stanza delle torture dove menano calci e pugni alle mummiacce (e anche ai nanetti) e finalmente riescono a sgominare il folle piano del mad doctor di turno. Nel più puro stile messicano, il film è una baracconata trash pazzesca ma una di quelle, se non altro, divertenti, con gran sfoggio di pettorali misti e scene assurde (vedi i rapimenti vari che le mummie operano sulle ragazze locali, le quali svengono comicamente appena vedono i mostri). Se non altro risulta molto godibile la colonna sonora psichobeat realizzata da Bernardo Serrano che, soprattutto nelle scene finali, riesce quasi a mandare in acido lo spettatore. 

lunedì 9 giugno 2025

LE BAMBOLE DEL FUHRER (1996)

Regia Joe D’amato 

Cast Erica Bella, Shalimar, Jean-Yves Le Castel

Parla di “nazisti che creano bordello con prigioniere ovviamente testate molto attentamente da ufficiali SS ben dotati ma dall’insulto facile” 

Curiosamente reintitolato “Saloon Kiss” per il mercato estero (forse il film di Tinto Brass aveva un nugolo di estimatori oltreoceano?) questo Nazisploitation fuori tempo massimo è una delle opere straight to video che il maestro Joe D’amato sfornava a ritmi decisamente industriali per il mercato home video a luci rosse degli anni novanta. Detto questo, non c’è molto altro da dire, la trama è solo un pretesto che viene svogliatamente raccontata nei primi minuti del film mentre la videocamera inquadra uno sparuto squadrone di soldati nazisti che cammina nelle campagne. L’idea è quella di creare una specie di bordello con prigioniere piuttosto portate al piacere sessuale, allo scopo di spiare i clienti e raccogliere informazioni preziose per la vittoria finale del terzo reich. Poca roba, praticamente la versione porno di Saloon Kitty che era già comunque spinto da parte sua. Vari ufficiali SS si alternano per testare le prigioniere e verificare che siano adatte allo scopo, gli amplessi sono più o meno tutti uguali, con grandi dosi di anal e voraci fellatio. Mentre lo guardavo mi chiedevo perché rispetto ai porno anni settanta, l’orgasmo maschile si riduce qui alla masturbazione finale, eseguita in tutta fretta dall’attrice di turno, a conclusione di un amplesso che sembra durare un’eternità. Voglio dire, una volta gli attori venivano estraendo il pene dalla vagina ed eiaculando sulla pancia delle attrici dopo un coito normale. A partire dagli anni novanta, invece, non si riesce più a far eiaculare naturalmente, questi porno attori! Anche l’orgasmo deve essere provocato articialmente, anzi manualmente! Perdonate questa disgtressione, atta solo ad allungare il brodo di una recensione in cui non si ha molto da dire. Le attrici sono molto belle, anche se la continua ostentazione dell’ano allargato (in cui si vede molto disgustosamente l’inizio del colon) non è che sia molto arrapante. 

D’Amato, anche sul fronte del porno, ha sicuramente fatto lavori migliori e con più convinzione, qui persino la musichetta ossessiva che ci perseguita per questi sessanta minuti, riesce ad essere castrante. Fanno comunque ridere (non apriamo parentesi sul sessismo in questo frangente perché stiamo comunque discutendo di un porno) le carriole di insulti che queste povere attrici si beccano durante il coito da parte dell’ufficiale di turno che non ho capito se è sempre lo stesso (il porno attore d’oltralpe Jean-Yves Le Castel) o cambia di volta in volta. Fatto sta che, durante il rapporto, sentiamo ossessivamente questa voce fuori campo (stranamente somigliante a quella di Oreste Lionello) che ripete a mantra epiteti irripetibili che aggiungono una colpevole ilarità a tutta la scena. 

lunedì 26 maggio 2025

AS TARAS DO MINIVAMPIRO (1987)

Regia José Adalto Cardoso 

Cast Chumbinho, Renato Alves, Eliane Gabarron 

Parla di “vampiro nanetto semina il terrore tra le vittime mestruate ma un sindaco arrivista lo vuole trasformare in un’attrazione turistica” 

Girato l’anno successivo a Alucinações Sexuais de um Macaco (1986), il film di José Adalto Cardoso ci conferma che, almeno per quanto riguarda il cinema a luci rosse, il Brasile si rivela inaspettatamente una fonte inesauribile ed estrema di cinema ai più bassi livelli, per quanto riguarda la qualità, ma ai massimi per quanto riguarda il tasso di Weirdo, qui veramente alto. L’attore principale è un certo Chumbinho, che manco a dirlo, è un nano dai denti storti raccattato in non si sa quale favelas ma di certo non proveniente da un’Accademia di cinema, considerata la non recitazione costante e imbarazzata. 

La sua presenza in un piccolo paesino chiamato Batatao vicino a San Paolo, scatena il panico, soprattutto nelle coppiette infrattate a fare sesso contro un muretto (sempre lo stesso, per tutto il film) ma scatena anche le mire lucrative del sindaco, un vecchio baffone che gesticola come un matto ripetendo monologhi deliranti. Il suo intento è catturare il minivampiro e trasformarlo in una specie di attrazione turistica. Nel frattempo le voci della presenza del piccolo Dracula (che saltella in giro agitando un piccolo mantellino nero e sfoderando una serie di dentacci storti che sono propri dell’attore e non una protesi), richiamano una piccola troupe a girare un documentario e (perché no) a fare un po’ di sesso ripreso dal regista con grande abbondanza di culi e schiene pelose, brufoli e pieghe di cellulite messe bene in evidenza nell’inquadratura. Il sindaco assume anche una specie di cacciatore di vampiri (Renato Alves) che assomiglia stranamente all’esorciccio con tanto di corone d’aglio e crocefissi di legno in mano. 

Il cacciatore però non intende uccidere il vampiro anzi sembrano divenire amici al punto che il piccolo demonietto gli confessa che la sua sfiga è quella di essere nato in Brasile, se fosse stato un vampiro americano, oggi sarebbe famoso. Girato con piglio amatoriale, in ambientazioni fatiscenti ma ricco di personaggi bizzarri (tra cui un assurdo barbone che ama masturbarsi guardando i cavalli), As Taras do Minivampiro (Lett. Le turbe di un minivampiro) è comunque ricco di sequenze che meriterebbero di entrare nella storia del cinema dalla porta del bagno di servizio. L’erezione penica del vampiro che emerge dal terreno, il mostro che lecca goloso la vagina di una ragazza con le mestruazioni e dopo si succhia godurioso il pannolino sporco di sangue e l’assalto dall’alto su una coppia intenta in una fellatio (con tranciamento del pene) sono tutte sequenze che nella loro bruttezza colpiscono lo spettatore, narcotizzato da noiosissime scene di sesso, e lo svegliano all’improvviso come una doccia fredda, dandogli modo di arrivare sveglio alla parola “Fim” dopo appena un’oretta di (dubbio) spettacolo. 

lunedì 19 maggio 2025

I SETTE NANI ALLA RISCOSSA (1951)

Regia Paolo William Tamburella 

Cast Ave Ninchi, Georges Louis Marchal, Rossana Podestà 

Parla di “ nani pelosi che cercano di salvare la principessa Biancaneve ma non riescono a salvare il film dalla sua bruttezza” 

Forse è un concetto che ho già ribadito in altre recensioni o forse no (la memoria, invecchiando …dannazione!), in ogni caso se cercate dei film veramente weirdo, spesso potete trovarli nel settore del cinema per ragazzi. 

Assieme a perle come “Santa Claus conquers the martians” si può inserire anche questo fantasy favolistico del dopoguerra diretto da Paolo William Tamburella, con una giovane e virginea Rossana Podestà che interpreta Biancaneve in una trama alternativa a quella classica post Disneyana. In questo frangente, la principessina vive in uno splendido castello insieme alla governante Ave Ninchi (che i più anziani di voi ricorderanno soprattutto per la sua pubblicità del Pollo AIA) e al principe azzurro, qui rinominato Biondello (Roberto Risso). Purtroppo l’idillio domestico viene interrotto da tamburi di guerra e richieste di aiuto al Principe Biondello, che deve  recarsi con il suo esercito a difendere i villaggi circostanti dalle invasioni del crudele Principe Nero. Dopo giorni di silenzio, Biancaneve apprende che Biondello è stato rapito e per riscattarlo deve consegnare al cattivo la corona del tesoro.

 Ma, ahimè, è una trappola del principe nero interpretato dall’attore francese Georges Louis Marchal, agghindato con una tutina aderente e un’assurda pettinatura che richiama due orecchie giganti fatte con lana di pecora. Da qui in poi il film si trasforma in un festival del trash senza vergogna, appaiono infatti i nanetti, che sono dei veri nani spelacchiati con nomi tutti diversi da quelli che conosciamo. Se già l’uso di persone diversamente alte richiama le più becere operazioni cinematografiche di serie zeta, il tentativo dei nani di creare delle gag divertenti rende la situazione più penosa, con classiche scenette da commediaccia di bassa lega (il nano che pesca sé stesso e finisce in acqua). I nanetti vengono quindi avvisati, tramite un falco messaggero, che Biancaneve è in pericolo e si recano quindi nei dintorni del castello del Principe Nero, che, nel frattempo, cerca di obbligare Biancaneve a sposarlo. 

I sette vengono inglobati in un praticello/trappola rotante, modello sciacquone del water e finiscono in mezzo alle sirene, da qui riescono a fuggire grazie alla presenza del fido topo di uno dei nani che spaventa le donne pesce e permette loro di risalire in superfice dove incontrano la governante. Insieme giungono al castello ma vengono catturati, qui scoprono addirittura un laboratorio fantascientifico da cui il principe trae il suo potere. Lieto fine istituzionale con abbracci, baci e il principe nero trasformato nell’ottavo nano. I nanetti sono di una bruttezza che mette quasi a disagio, soprattutto pensando a quei poveretti costretti a mostrare le loro deformità ad un pubblico che, probabilmente non ha neanche riso una volta.