lunedì 9 settembre 2019

THRILLER: A CRUEL PICTURE

(Thriller - en grym film, 1973) 

Regia Bo Arne Vibenius 

Cast Christina Lindberg, Heinz Hopf, Despina Tomazani 

Avvolto in un silenzio devastante, rotto solo dal fruscio delle foglie autunnali, l’incipit sembra uscito direttamente da un film pasoliniano, ed è subito un pugno nello stomaco vedere in primo piano l’orgasmo di un vecchio bavoso pensando, immaginando cosa stia facendo a quella povera bambina. L’incipit di questo cult svedese diretto da Bo Arne Vibenius non fa sconti a nessuno e, nella sua narrazione lenta e oppressiva ci porta crudamente all’interno delle sfortunate vicende della giovane Frigga, diventata muta dopo il trauma della violenza infantile e nonostante questo dotata di una innocenza disarmante, al punto da farsi irretire nuovamente alla fermata dell’autobus da un losco faccendiere che la trascinerà giocoforza nel mondo della prostituzione e della tossicodipendenza. Un mondo di violenza dove l’unico risultato alla muta protesta della protagonista sarà una crudele deorbitazione a colpi di bisturi, mostrata esplicitamente (si vocifera anche che per girare la scena fu usato un vero cadavere ma queste sono leggende non provate) in primo piano. 

Il volto antiespressivo ma quanto mai efficace dell’attrice Christina Lindberg si trasforma in una maschera di vendetta contrassegnata da una benda piratesca di stoffa, una maschera che impara gradualmente l’arte della vendetta utilizzando i proventi del proprio mercimonio per imparare a sparare, a guidare spericolatamente e a combattere con l’ausilio delle arti marziali. Un viaggio sciamanico verso la catarsi finale che porterà la giovane a uccidere spietatamente il gruppo di clienti aficionados oltre ovviamente al suo aguzzino. Ambientazioni rurali, disagiate e fredde contribuiscono a dare un senso di straniamento a questo rape&revenge che ogni amante del cinema exploitation dovrebbe vedere almeno una volta nella vita, non tanto perché titolo di culto amato e citato da Quentin Tarantino nel suo secondo volume di Kill Bill (e in particolare nel personaggio di Elle Driver interpretato da Daryl Hanna) quanto per l’ostentazione di un cinema iperrealista che non ammette sbavature ne cede il passo ad emozioni. 

È un racconto, una cronaca vera di un massacro annunciato che non può, né deve essere intralciato da false cadute verso l’emozionalità ed il falso buonismo (una parola che oggi sembra avere una connotazione politica diversa da quella realmente intesa). Bandito, osteggiato, massacrato da tagli censorei che hanno portato ad una duplice versione con due differenti titoli, la prima del 2004 intitolata Thriller: A cruel picture pesantemente decurtata da scene di sesso e violenza e la seconda, l’anno successivo intitolata Thriller: They call Her One-Eye in cui vengono ripristinate anche le scene hard girate con controfigure e dettagli da autentico cinema porno. Collaboratore di Ingmar Bergman nella seconda metà degli anni sessanta, Vibenius, come regista non avrà una grande carriera, ma questa sua opera intrisa di grande cinema nascosto nei meandri della shockploitation, ci da pienamente il senso spettrale del degrado di una società ai margini, un film senza speranza, disturbante ma luminoso, come il sole accecante in cui si consuma la vendetta finale dell’eroica Frigga. 

lunedì 2 settembre 2019

RADIO ALIEN

(Bad Channels, 1992)

Regia Ted Nicolaou

Cast Robert Factor, Martha Quinn, Aaron Lustig

Dopo aver cosparso di mostruose creature aliene il tubo catodico, il buon Ted Nicolau, supportato come di consueto dalla Full Moon Entertainment e dallo stesso Charles Band in qualità di ideatore del soggetto originale, porta l'invasione extraterrestre sui canali radiofonici dell'emittente KDUL  dove uno strampalato deejay di nome Dan O' Dare (soprannominato Dangerous) viene assediato da un gigantesco alieno con un mostruoso elmetto bitorzoluto che trasforma lo studio in un minestrone verdastro di funghi gommosi, coadiuvato da un robottino sullo stile Star Wars. Il loro obiettivo è rapire e miniaturizzare giovani avvenenti fanciulle collegate alla radio, attraverso la materializzazione di gruppi heavy metal e la smaterializzazione delle donnine che vengono collocate in contenitori di vetro. L'idea di inserire le band intente ad esibirsi in una sorta di videoclip metallaro permette al regista di dilungare gli (scarsi) tempi del film e divertire lo spettatore più giovane con spettacolini rock pieni di finti clown rabbiosi, monache che suonano la chitarra lanciandosi contro il muro, ragazze da tutte le parti ed uno che sembra quasi un sosia di Alice Cooper. 

Il marchio di fabbrica della Full Moon e, conseguentemente, dello stesso Nicolau, sono però le creature ciondolanti protagoniste dello schermo, culminanti nel finale in una specie di giraffona con la faccia da papero disneyano movimentata da fili trasparenti, una bruttura da Muppet Show che viene sconfitta a colpi di disinfettante spray (sic!). Nonostante la pellicola risulti anche piuttosto divertente, con il suo carnet di attori improbabili e situazioni grottesche, manca un po la verve anarchica ed estrema di "TerrorVision" dove le mostruosità assumevano forme contorte da quadro di Salvador Dalì. In questo caso i personaggi rientrano negli stereotipi del B-Movie americano anni ottanta (sebbene in ritardo visto che il film è del 1992) senza eccedere nel kitsch più glam che invece marchiava gustosamente il precedente titolo di Nicolau. 

L'idea dell'intermissione dei gruppi nu-metal comunque risulta carina e la colonna sonora, orchestrata nientepopodimeno che dai Blue Öyster Cult, merita un ascolto. La commistione tra horror, fantascienza e commedia tiene molto bene i tempi cinematografici e la visione, seppur senza particolari momenti esaltanti, risulta tutto sommato piacevole. Certo gli anni d'oro della Full Moon sono altrove e purtroppo i primi anni novanta, con i limiti di un'epoca che stava per concludersi, ne hanno segnato irrimediabilmente il declino. 

lunedì 26 agosto 2019

THE LOCH NESS HORROR

(1981) 

Regia Larry Buchanan 

Cast Sandy Kenion, Stuart Lancaster, Miki McKenzie 

Se cercate negli archivi filmografici, scoprirete che il regista texano Larry Buchanan ha una discreta esperienza nel mondo dei B Movie, in special modo in quei Tv Movie che negli anni ottanta affollavano i pigri pomeriggi delle reti privati con roba tipo Il mostro delle caverne, Curse of the VooDoo women e soprattutto con il bruttissimo Zontar: The Thing from Venus, sorta di remake di uno degli scult più imbarazzanti e adorabili del maestro Roger Corman. Verso la metà degli eighties la carriera di Buchanan andò scemando progressivamente e culminò in un due o tre titoli veramente al top della bruttezza tra cui questo Lochness Horror, conosciuto anche come Nessie e giocoforza ispirato al mostro del celebre lago scozzese. Tutto inizia con un misterioso gentleman che osserva da un cannocchiale un vecchio velivolo della seconda guerra mondiale, successivamente l’obiettivo inquadra la famosa foto in cui il collo del plesiosauro si erge dalle acque del Loch Ness. E qui capiamo subito che sarà una visione terra terra. 

L’ambientazione torna ai giorni nostri ed è tutto un giro di ragazzini che fanno gli scemi davanti a un falò, un misterioso guardiano armato di alabarda e un uovo di dinosauro che sembra fare gola a molti. Obbligato da un budget miserrimo, Buchanan va a risparmi anche con il mostro che verrà sempre inquadrato dal collo in su, con le mascelle manovrate meccanicamente e uno sbuffo di vapore che ogni tanto fuoriesce dalla gola mentre la macchina da presa segue il testone in mezzo alla boscaglia. Giunti al culmine del trash, assistiamo anche allo scontro tra il mostro e dei militari ad un posto di blocco, la scena patetica che ci si para davanti è quella di una creatura che, non avendo manco le zanne per mordere, abbatte i militari a testate. Poverino! Ci prova ad azzannare un vecchio alla spalla, e del resto anche la vittima cerca di simulare dolore e sofferenza mentre il testone finto di Nessie sembra più succhiare la spalla piuttosto che morderla. 

Nel cast fa capolino una vecchia conoscenza, Stuart Lancaster, che gli amanti del cinema exploitation ricorderanno come il daddy di Faster! Pussycat! Kill! Kill! del geniale Russ Meyer. Nonostante si parli di Loch Ness, il film è girato sul Lago Tahoe in California ed infatti risulta difficile credere di trovarsi in Scozia. Tutta colpa del budget miserrimo con cui Buchanan ha dovuto fare i conti, ma non c’è da stupirsi, del resto il film fu prodotto proprio da un clan scozzese (il clan Buchanan per di più)! 

martedì 20 agosto 2019

SUPERGATOR

(2007)

Regia Brian Clyde

Cast  Kelly McGillis, Brad Johnson, Bianca Lawson

Ci voleva un produttore sgamato come Roger Corman per realizzare un monster movie decente nel prolifico quanto scadente palinsesto televisivo di SyFy Channel, attenzione però! Ho detto "decente", il che ci porta lontano mille miglia dal porre questo film in un universo parallelo dove potrebbe entrare di diritto nel cinema di fantascienza. Semplicemente qui si nota una certa cura nella realizzazione, sconosciuta alla maggioranza dei titoli proposti dall'emittente, ma anche dalle bizzarre porcherie realizzate dalle varie case di produzione low cost del genere. Il supercoccodrillone del titolo (incrocio fra un caimano e uno stegosauro) è una mutazione genetica che vive ai piedi di un vulcano, all'interno di un'oasi naturale tutta laghetti e cascatelle, e qui finisce il nostro interesse per la trama che, oltre ad un notevole body count, ci accompagna nella solita spedizione scientifica di un gruppo di geologi capitanati dal televisivo Brad Johnson, un faccione inespressivo dai tratti tipicamente americani. 

Il suo gruppo si incontra con un'altra scienziata, qui interpretata dalla vecchia babbiona Kelly McGillis che negli anni ottanta fece coppia con Tom Cruise nel famoso Top Gun e che si è vista di recente nell'ottimo horror "We Are what we are". Ad accompagnarla un crocodile dundee accanito che spara in continuazione sul coccodrillone senza mai fargli un cazzo. Nel mentre assistiamo alle allegre gite di gruppi di studenti cazzoni, di tettone fotomodelle e giovani trekker, tutti destinati a riempire la pancia del mostro. La noia dei dialoghi smorza le ottime scene, truculente quanto basta, del pasto umano ad opera dell'alligatore, realizzate con un montaggio serrato che mostra solo dettagli di denti e corpi maciullati, ma crea il giusto effetto. 

Purtroppo il coccodrillone mostrato nella sua decadenza digitale non si discosta molto da altri titoli "Bad CGI" che infestano le programmazioni televisive, va molto meglio comunque nel finale, con massacro di turisti che ricorda per certi versi, il matrimonio rosso sangue del capostipite del genere "Alligatori assassini", il classicone di Lewis Teague "Alligator".  Certo se non si hanno grosse pretese, il film risulta anche godibile in una certa misura, ma visto il numero titanico di film dedicati a rettiloni carnivori in circolazione, potete senza dubbio, bypassarlo. Imperdibile invece per chi adora gli spruzzi di sangue modello commodore64 e i dinosauri digitali che ruggiscono tristi pixels all'interno di canovacci sempre uguali. 

martedì 13 agosto 2019

MONSTER FROM THE OCEAN FLOOR

(1954)

Regia Wyott Ordung

Cast Wyott Ordung, Anne Kimbell, Dick Pinner

E’ risaputo che il genio produttivo di Roger Corman è sempre stato quello di cavar sangue dalle rape, ma nel caso di questo pseudo monster movie caraibico ha veramente superato sé stesso. Con un budget ai limiti del ridicolo di 28.000 dollari (ma il film incassò almeno 10 volte tanto) e un’oretta scarsa di pellicola, il nostro, qui alla sua prima volta in veste di solo produttore, ci sforna un gioiellino che dire imbarazzante è quasi fargli un complimento. La protagonista è una stangona americana dai capelli platinati che risponde al nome di Julie Blair (interpretata da Anne Kimbell, reginetta del surf movie e di numerosi scialbi western anni quaranta e cinquanta) che si svacca sulle spiagge messicane passando il tempo a dipingere e ad ascoltare un ragazzino petulante che gli racconta di come il padre sia stato ucciso da una misteriosa creatura degli oceani. Siccome Julie è in vacanza e non ha un cazzo di meglio da fare, inizia a indagare sulle leggende di questo mostro che, nelle lunghe e narcolettiche riprese subacquee, vediamo come un grosso polipo con un enorme occhio luminoso. 
 
Stranezze del caso, Julie incontra un biologo marino, il Dottor Baldwin che vaga nelle acque con un ridicolo sommergibile a pedali. Fra di loro inizia un corteggiamento galante, però lui non le crede, riguardo al mostro, per cui Julie, allo scopo di reperire delle prove, decide di fare qualche immersione. Peccato che, nel frattempo la vecchia del villaggio abbia decretato che l’americana debba venir sacrificata al dio del mare e tocca al giovane mozzo Pablo fare il lavoro sporco. Nonostante gli echi Lovecraftiani la storia è ben poca cosa, arricchita dai soliti dialoghi insulsi del cinema americano del dopoguerra. 

Corman centellina i soldi della produzione e mette alla regia il trentenne anglo-cinese Wyott Ordung, già autore del soggetto di un altro capolavoro quale Robot Monster, che si ritaglia anche la parte di Pablo, con risultati decisamente imbarazzanti. Il mostro viene ripreso con la tecnica del grandangolo che permette di far sembrare gigante un povero polipetto al quale viene applicato in sovrimpressione un enorme occhio che lampeggia. Ma il cinema è magia anche quando non ha vergogna di mostrarci l’improponibile, del resto alla fine si scopre addirittura che il mostro altri non è che un’enorme ameba, risultato dei soliti esperimenti nucleari del vicino atollo di Bikini. Viene quasi da dire “Benedetta sia la bomba!” senza la quale migliaia di sceneggiatori americani degli anni cinquanta sarebbero stati senza lavoro ma soprattutto senza uno straccio di idea!

lunedì 5 agosto 2019

RIVELAZIONI DI UNO PSICHIATRA SUL MONDO PERVERSO DEL SESSO

(1973)

Regia Renato Polselli
Cast Isarco Ravaioli, Franca Gonelli, Bruna Beardi

Finalmente grazie al mitico Polsellone e a questa sua ennesima ciofeca cinematografica, possiamo coniare un sottogenere nuovo al già vasto mondo del cinema exploitation. Nel caso di Rivelazioni di uno psichiatra siamo di fronte allo zenith massimo del cinema pretestuoso, ovvero quel cinema che pur essendo null’altro che un pornazzo da quattro soldi, cerca di mascherarsi con l’autorità scientifica della psicologia sessuale e lo studio delle relative devianze. Ecco quindi che il termine Specious dall’inglese Pretestuoso, si abbina perfettamente al termine exploitation, unendosi in matrimonio e generando la Speciousploitation, ovvero quei film che mascherano contenuti grezzi e pruriginosi con dotte divagazioni inutili quanto fallaci. 

Se non altro le dissertazioni del Dottor Frood (interpretato da una colonna portante del cinema di serie B italiano come Isarco Ravaioli) ad un gruppetto di improbabili studentelli, risulta quanto meno breve e sintetica, lasciando così spazio al vero spettacolo del film, la pornografia fine a sé stessa, ripresa da Renato Polselli stesso o rubata da X Movie americani, non ha importanza. Polselli ce la sbatte in faccia con un bel tripudio di vagine ultrapelose, orgie senza fine al ritmo ossessivo di uno psycho-progressive d’antologia, non teme censura nel mostrare una zoofila assatanata che massaggia energicamente il membro di un cagnolino salvo poi mimare un amplesso con un enorme peluche. 


Il tutto infarcito da storielle più o meno incredibili a giustificare la gerontofilia (lo stupro perpetrato a una giovinetta da un coetaneo che sfocia nella ragazza in una ossessiva attrazione per gli anziani), la necrofilia (la ragazza che spia la madre intenta ad avere rapporti con l’amante immobilizzato nel letto) e l’infausta scoperta, per un siciliano, che la novella mogliettina non è altri che un “lui”. Insomma nel periodo caldo della sua lunga e proficua carriera Renato Polselli non ci fa mancare un altro cult assoluto da abbinare a Riti, Magie nere e segrete orge del trecento. Il tutto immerso nella consueta atmosfera da trash psichedelico tipica di quegli anni, arricchita di citazioni più o meno colte (del resto se parli di psicologia devi citare almeno Freud, Jung e Adler) che sfociano in un finale enigmatico e affrettato.

venerdì 26 luglio 2019

SVEZIA, INFERNO E PARADISO

(1968)

Regia Luigi Scattin

Cast Edmund Purdom, Enrico Maria Salerno, Jean Topart

Il consiglio che dò quando qualcuno si accinge a vedere un mondo movie è quello di mettere da parte la propria morale ed i propri principi cercando di contestualizzare il più possibile l'opera a cui assistiamo. Considerando soprattutto che si parla di un film il cui unico scopo è fare discutere, shockare, disgustare ma anche scatenare sordidi pruriti nascosti nelle più perverse pieghe del nostro animo voyeurista. Un consiglio che, devo confessarvi, non sono riuscito ad applicare a me stesso guardando questo reportage di Luigi Scattini sugli usi e costumi del popolo svedese. Non tanto per le immagini proibite che di solito condiscono un mondo, anche perchè, in questo caso, tutto si limita a qualche nudità innocente qua e la lungo la pellicola. Quello che più infastidisce è l'applicazione di una certo moralismo d'accatto che punta il dito sui difetti di un altro paese, sorridendo sotto i baffi. 

Probabilmente l'effetto sarebbe mitigato se non ci fosse stato il fastidioso commento parlato del pur bravo Enrico Maria Salerno, il quale da parte sua interpreta come meglio si può un irritante canovaccio moralista che stona per due motivi: Il primo è un finto perbenismo benpensante che guarda al libertinismo svedese con quell'alterigia cattolico-puritana per la quale la libertà sessuale nelle scuole genera poi noia nei confronti del sesso, anticipa le esperienze senza ritegno ma soprattutto senza alcuna emozione, come ci mostrano le immagini delle ragazzine annoiate su una sorta di love boat dove si congiungeranno per la prima volta con gli amichetti della scuola. Il secondo motivo è il fatto che, proprio perchè la telecamera si sofferma sulle scene di nudo con compiacimento, entrando nel dettaglio delle modelle che posano nude per le rivistine personalizzate ordinabili nei sexy shop, o inquadrando vogliosa le giovinette che escono nude da una baita sulla neve per fare il bagno in un laghetto gelato,  risulta decisamente ipocrita tutto questo finto moralismo, soprattutto se pensiamo che la maggioranza degli spettatori italiani veniva attirata al cinema dalla prospettiva di vedere un pò di chiappe e tette svedesi. 

Insomma noi, popolo di frustrati, che guarda ai libertini con quella sorta di invidia peccaminosa mascherata da ipocrisia bacchettona. Noi che ridiamo davanti agli alcolizzati che, per bere in strada, sono costretti a nascondersi nei vespasiani, noi che guardiamo costernati la ragazza che, trovando il telefono amico sempre occupato, decide di suicidarsi, noi che assistiamo inorriditi all'homeless che mangia lucido da scarpe perchè contiene una base alcolica, noi che storciamo il naso di fronte alle pratiche di adozione per ragazzine madri che non vedranno neanche per un secondo il figlio appena partorito, noi insomma, forse dovremmo imparare a guardare un pò di più dentro casa nostra e meno attraverso le finestre degli altri. A parte, comunque, l'incazzatura esistenziale che deriva dalla visione, il film non si discosta molto da altri mondo dell'epoca, decisamente più noioso e ancora più finto della media. Unica nota lieta del film è ovviamente, la straordinaria colonna sonora del grande Piero Umiliani, tra cui spicca il famosissimo brano "Ma-Nah Ma-Nah!"