Cast Bill Teas, Ann Peters, Marilyn Wesley
Parla di “guardone seriale assume troppo anestetico dal dentista e com
incia ad avere allucinazioni nudiste”
Esordio ad oggi ufficiale alla regia di Russ Meyer (non considerando The French Peep show girato 9 anni prima ma ad oggi irrintracciabile), questo The Immoral Mr. Teas è il prototipo perfetto del genere nudie cutie per il quale se ne attribuisce la paternità proprio a Meyer.
Realizzazione in estrema economia (27.000 dollari di budget), nessun dialogo e una trama creata ad hoc solo per mostrarci le bellezze naturali di un gruppo di maggiorate che, per tutto il tempo del film, fanno il bagno in un laghetto, prendono il sole, suonano la chitarra, chiacchierano amabilmente mentre la macchina da presa ostenta silenziosa sulle varie parti anatomiche più pregiate, ovvero il culo e le tette (perché siamo ancora negli anni cinquanta e la rappresentazione vaginale è ancora tabù). Il protagonista è Mr. Teas (interpretato da un certo Bill Teas che, pare, recitasse perennemente in stato di ebbrezza alcolica), un distinto signore di mezza età abbronzato con la paglierina calcata in testa che va al lavoro in bicicletta indossando una ridicola tuta da meccanico rosa e gira per gli studi dentistici consegnando protesi dentali fissate con impressionanti impalcature metalliche. Tra uno studio e l’altro il buon Teas non disdegna di passare il tempo a contemplare i generosi seni dell’infermiera e della segretaria e, nel tempo libero, quelli della giunonica barista. A seguito di un intervento dentistico, il nostro eroe, alterato da una dose massiccia di anestetico, comincia ad avere visioni in cui si approccia con barista e segretaria completamente ignude, fino a inseguirle sulle sponde di un laghetto dove le sue tre beniamine si dedicano al più puro naturismo.
Il tutto recitato (diciamo così…vabbè!) senza dialoghi con il solo ausilio di un narratore (tale G. Ferrus) che passa il tempo a snocciolare inutili orpelli nozionistici di varia natura, tanto per fare un esempio, una delle nudiste si mette a fingere di strimpellare una chitarra e il narratore sotto comincia “la chitarra fu inventata nel…ecc. ecc.”, quando ovviamente non ci trita gli zebedei con melense descrizioni dei paesaggi naturali della zona. Insomma tra una divagazione filosofica del narratore e l’altra, la colonna sonora procede impetuosa senza stacchi e soprattutto senza alcuna attinenza con il girato, passando da polke irruente, valzer e marcette assordanti nel più puro spirito del cinema exploitation. Ad oggi si fatica a riconoscere (se non per l’ostentazione voyeristica delle prosperose mammelle protagoniste) il Meyer di Faster Pussycat…kill! Kill! o SuperVixens, in questa specie di demenziale farsa dai ritmi così narcotici che neanche i conetti indossati sul seno da una spogliarellista riescono a scuotere. Se siete amanti di Russ Meyer, il film va visto per completezza, se soffrite di insonnia può essere un valido aiuto ad addormentarsi, se siete amanti del buon cinema, come sempre, evitatelo senza alcuna esitazione.
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