giovedì 13 aprile 2023

VAMPIRE HOOKERS

 (1978) 

Regia Cirio H. Santiago 

Cast John Carradine, Karen Stride, Bruce Fairbairn 

Parla di “coppia di marinai in cerca di donzelle rimangono invischiati in una trama di vampiri dai gusti raffinati” 

Versatilità all’ennesima potenza, una delle caratteristiche che hanno contraddistinto la lunga e prolifica carriera del regista filippino Cirio H. Santiago, capace di passare dalle commedie al cinema di arti marziali, passando per l’horror e la blacksploitation. Tutto questo con la capacità di rendere credibile il prodotto finale pur abbacinandolo con un’estetica weird assolutamente unica. Tra le sue opere, questo Vampire Hookers è sicuramente una delle più assurde. Basterebbe, per intenderci, la scena cult in cui il servo tonto del vampiro Richmond Reed (John Carradine) si chiude in una bara di cartone e si mette a respirare tramite un tubicino mentre da sfogo alla sua corposa flatulenza. Una sequenza che fa ridere solo per l’assurdità di averla pensata, perché poi a livello pratico, è realizzata con una grossolanità esasperata, tipica del cinema a zero budget. 

La trama vede un paio di marinai americani interpretata da una coppia di non attori (Bruce Fairbairn e Trey Wilson) alla ricerca di donnine facili. Prima assaggiano inconsapevoli un prodotto locale (siamo ovviamente nelle Filippine) a base di feto d’anatra, poi finiscono in un locale di transessuali mentre un loro commilitone viene abbordato dall’ammaliante Cherish (Karen Stride) che lo porta direttamente al cimitero dove, nascosto sotto una cripta, c’è un vero e proprio rifugio per vampiri di cui Carradine è ovviamente il capo. Vestito con uno sgargiante completo color panna, il buon vecchio John passa il tempo a declamare Walt Whitman asserendo che un poeta così bravo a descrivere la morte non poteva essere altro che un vampiro. Il resto del gruppo sono tre avvenenti ragazzone di cui una lamenta di non potersi concedere un’abbronzatura solare. 

Il ritmo, seppur non frenetico, riesce comunque a mantenere discretamente alta l’attenzione sulle vicende, il livello di humor snocciolato invece, è di una grana talmente grossa che si fatica persino a sorriderne, se non mossi a pura compassione. Lo stile alla Gianni e Pinotto dei due marmittoni, tra scazzottate e figuracce, potrebbe essere interpretato come una satira sulla stupidità del maschio americano medio (che per il vampiro Reed rappresenta una prelibatezza), ma il livello generale (i vampiri stufi del Bloody Mary, il servo che si dispera perché non riesce a bere il sangue, ecc. ecc.) denota una piattezza e una superficialità che solo un regista abituato a sfornare pellicole a ritmo industriale poteva regalarci, avendo comunque l’accortezza di non far mancare nulla allo spettatore (sangue, violenza, sesso e nudità varie) come ogni prodotto di exploitation degno di questo nome. 

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