mercoledì 16 marzo 2016

THE ACT OF SEEING WITH ONE'S OWN EYES

(Usa, 1971)
Regia


In greco con la parola Autopsia si indica propriamente  "l'atto di vedere con i propri occhi", frase con cui il filmmaker sperimentale Stan Brakhage ha intitolato una delle opere cinematografiche più disturbanti e insostenibili della storia del cinema. La pellicola, girata in 16 mm presso l'obitorio di Pittsburgh ci trasporta direttamente in una giornata tipo all'interno dell'istituto, giornata fatta di misurazioni con un righellino di plastica, rivoltamenti, tagli, aperture ed estrazioni, lavorazioni dedicate molto simpaticamente a dei veri cadaveri sui quali l'obiettivo asettico e imparziale di Brakhage ostenta per circa mezz'ora di proiezione in una vera e propria esplorazione della materia umana. Qui l'atto di vedere diventa una prova di resistenza sopratutto per l'occhio dello spettatore che deve godersi primi piani ben definiti di cervelli estratti, polmoni marcescenti e intestini rivoltati.

La pelle viene arrotolata sul viso mentre la sega circolare traccia i solchi attorno alla scatola cranica; mani veloci e sicure, evidentemente abituate a quella pratica giornaliera, lavorano sui legamenti, sulla pelle, sul grasso, sulle costole, segando e tagliando, affettando interiora come tranci di scottona in un tripudio di corpi bianchicci,braccia e mani tumefatte, scroti, vaginee peni alla deriva in un mare nostrum di anatomia umana che pende come un serpente accusatore sulle nostre pupille, letteralmente ipnotizzate da uno spettacolo ributtante ma da cui non osiamo distogliere lo sguardo. L'assenza di audio, poi, sembra urlare in testa scarnificazioni ed eviscerazioni che non sentiamo ma di cui possiamo testarne l'essenza come parte interiore della nostra anima qui ridotta a involucro da supermercato con frattaglie mescolate e raccolte in sacchi di cellophane. 

Eppure, nonostante la visione insostenibile, chi guarda The Act sa benissimo di essere lontano anni luce da situazioni create ad hoc per il facile shock ad uso e consumo del pubblico, qui l'occhio della cinepresa indaga come testimone silente e discreto, al punto che spesso l'inquadratura è coperta dalla presenza confortante del camice di qualche coroner, o del volto stanco dell'uomo delle pulizie che passa lo spazzolone, oppure dalle mani dell'addetto alla pulizia che passa con cura la spugna sui corpi aperti, contorti in pose impossibili quasi a formare opere d'arte che narrano un cronenberghiano linguaggio della carne. Difficile concedersi una seconda visione, difficile cancellare quanto ci viene proposto, difficile a suo modo, giudicare il reale valore dell'opera, se non attraverso un confronto con la visione della morte stessa. Il film fa parte della cosiddetta trilogia di Pittsburgh, tre documentari girati da Brakhage nel 1971 di cui Eyes all'interno di un comando di Polizia e Deus Ex in un ospedale.

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