Regia Hajime Satô
Cast Shinjirô Ehara, Masumi Harukawa, Yoko Hayama
Non
c'è niente da fare, il cinema giapponese ha delle sue precise peculiarità,
indipendentemente dal genere a cui attinge. Una di queste è certamente l'essere
sempre fuori dalle righe, spesso creando molta confusione nella trama ma
assolutamente visionario nelle immagini. Nel caso di questo anomalo esempio di
horror nipponico, le basi di riferimento sono decisamente il cinema gotico
europeo, tuttavia il regista Hajime Satô (ricordato per opere pregevoli come
"I mostri della città sommersa" o "Il ritorno di Diavolik) non
rinuncia alla tradizione del sol levante esagerando in maniera sostanziale le
atmosfere macabre di cui impregna la pellicola.
Ecco quindi che, immersa nella
penombra di una ottima fotografia che satura i chiaroscuri accentuando la
cupezza delle inquadrature, si sviluppa una storia di case maledette e
maledizioni ordite dal marito morto della protagonista che si scoprirà essere
una specie di serial killer paranormale in grado di trasmutare nel corpo del
servo gobbo rassomigliante ad una brutta copia di Cristopher Lee ne "La
Maschera di Frankenstein". Vediamo quindi il gobbuto trasformarsi gradualmente
in una maschera kabuki intenta a spogliare e strozzare le giovani donne di
casa. Da tutte le parti si odono urlacci, gemiti, porte che si aprono e si
chiudono da sole, corvi aggressivi, mostri impagliati, cadaveri (realizzati in
cartapesta) nascosti nei pozzi, tutto all'insegna di un allegro caos narrativo
dominato da un continuo viavai di persone che suonano alla porta di casa.
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