Regia Terry Bourke
Cast Norman Yemm, Carla Hoogeveen, Mike Dorsey
Quello che caratterizza maggiormente il
cinema exploitation australiano (detto anche Ozploitation) è il rapporto con
gli spazi e la natura da parte dell'uomo, in particolare nel cinema
horror/thriller dove l'interazione tra natura e civiltà assume connotati
drammatici, questo a partire da quel capolavoro del 1977 che si intitolava
"Long Weekend" ma già, qualche anno prima, se ne intravedevano i
primi segnali grazie a perle come questo piccolo titolo diretto da Terry
Bourke, misconosciuto regista la cui fama non supererà mai i confini
australiani. Peccato perchè in appena 50 minuti, questo thriller riesce a
condensate tutti gli elementi propri di un genere che anni dopo straborderà
sopratutto in quantità cinematografica grazie a roba come "Wrong
Turn", "Le colline hanno gli occhi" fino a quel gioiellino di
"Wolf Creek" che ben prosegue il discorso qui affrontato. Del resto
una terra dove la maggioranza dei serpenti è dotata di veleno mortale, dove i
coccodrilli nuotano in mare, dove gli squali azzannano i surfisti e dove anche
certi uccelli (leggasi i Casuari) sono particolarmente aggressivi, non poteva
che partorire ottimi esempi di survival horror.
Il punto di partenza di
"Night of Fear" è sicuramente Tobe Hooper, infatti qui il
protagonista è un maniaco farmense che ansima come un gorilla in orgasmo, porta
sulla spalla un topastro bianco e zoppica con una scarpa ortopedica dotata di
supporti in metallo. Il suo hobby preferito è torturare gatti tristemente
prigionieri in una gabbia ma sopratutto inseguire giovani donna che hanno la
sventura di avvicinarsi troppo alla sua proprietà. Tutto il film si svolge nell'arco
temporale di 24 ore, non vengono pronunciati nomi anche perchè non ci sono
praticamente dialoghi, a parte un breve monologo radiofonico subito interrotto
dall'incidente stradale che porterà alla terribile evoluzione nella giornata di
una giovane discinta.
Bourke si scatena in inquadrature bislacche, un montaggio
che sembra un frappè di flashback e flashforward, con un altalenarsi piuttosto
fastidioso di scene che devono ancora accadere, primi piani di gatti e topi che
rosicchiano e angolazioni che si fatica a capire da dove partano. La follia del
progetto, tuttavia, da una marcia in più all'insieme e le atmosfere malsane che
si vengono a creare superano in degrado e malattia anche quel "brutes
& savages" (da noi conosciuto come "Quel motel accanto alla
palude") a cui il film si ispira maggiormente. La brevità del racconto e
la crudezza della narrazione in sè concludono in grandezza l'opera che, se non
disturba uno spettatore ormai abituato a queste cose, di sicuro non lascia
indifferenti.
Pur non essendo explitation, anche Picnic ad Hanging Roc, tratta il rapporto uomo/natura, o almeno così io lo ho interpretato.
RispondiElimina