mercoledì 29 febbraio 2012

SEX WORLD

Id. 1978

Zitto zitto, un dubbio mestierante come Anthony Spinelli ha diretto qualcosa come un centinaio di film nella sua lunga vita (terminata purtroppo in silenzio il 29 Maggio 2000) tutti più o meno porno o sexy con titoli quali Princess Orgasma and the Magic Bed, Suckula o Revenge of the Pussy Suckers from Mars, specializzandosi anche in parodie a luci rosse dei grandi successi hollywoodiani come Batwoman & Catgirl, Pulp Friction e questo Sex World variazione del più famoso Westworld dove si immaginava un parco a tema pieno di robot che impazzivano e uccidevano i turisti. Ovviamente qua non si ammazza nessuno ma l'incipit è più o meno simile.
Un pulmann percorre le strade americane portando con sè un gruppo di turisti pronti a visitare Sex World, il parco tematico dove è possibile vivere tutte le più nascoste fantasie sessuali, non solo ma anche curare certe piccole turbe e problemucci relativi al rapporto sessuale. Infatti durante il viaggio scopriamo cosa desiderano i passeggeri, attraverso i feedback della loro vita coniugale e intima, da questa straordinaria vacanza. C'è la coppia in cui lei è ninfomane e lui ossessionato dalla madre, quindi impotente; la ragazza che riesce ad avere rapporti solo tramite telefono, dei giovani sposini in cerca di nuove emozioni, e così via. Arrivati a Sex World i turisti verranno convocati a colloquio da un pool di sessuologi in camicione bianco che li indirizzeranno verso varie stanze, quasi tutte occupate da aitanti stalloni o arrapanti ragazze disponibili a fare tutto e di più. Ci sarà anche la possibilità di tornare a casa con una bella signora al proprio fianco.

Le scene di sesso (molto ben girate c'è da dire!) si alternano quindi a momenti in cui gli scienziati schiacciano bottoni luminosi in una stanza asettica, culmine del weirdo verso il finale quando la ragazza che ha rapporti solo telefonici (come si vede nella bella sequenza iniziale della masturbazione in teleselezione) viene dapprima visitata da un ragazzo timidino e non conclude nulla, poi da un latin lover (ma niente!) alla fine gli scienziati, stanchi di provare cure light ci vanno giù duro inviandogli un gigantesco nero tutto truccato e vestito con una tuta bianca dotata di apertura pelvica a  mostrare in bella vista il suo enorme pene. A quel punto la cura ottiene finalmente il suo risultato e tutti i turisti possono tornare a casa stanchi ma soddisfatti. Per essere un porno, oltre alla cura estetica tipica di un'epoca in cui era un genere come gli altri, il film diverte e riesce ad essere anche molto eccitante ma sopratutto da quella fantastica sensazione di non essere solamente un prodotto fine a sè stesso, creato per il piacere del cinema e non per la sola mercificazione del sesso.

lunedì 27 febbraio 2012

YETI IL GIGANTE DEL XX SECOLO

(Id. 1977)

Sembra incredibile che un film dove la prima scena prevede un blocco di ghiaccio da cui sporgono due enormi piedoni pelosi possa essere stato, a suo tempo, un grosso successo commerciale. Miracoli degli anni settanta dove il cinema di genere italiano invadeva le sale con sommo gaudio degli amanti del trash, a cui la pellicola di Gianfranco Parolini appartiene di diritto. Nato sulla scia del successo di King Kong di John Guillermin, questo "Yeti" rappresenta il punto di non ritorno del cinema catastrofico, basti pensare che il mostro in questione porta il volto dell'attore Mimmo Crao (che giustamente preferiva lavorare in televisione) peloso tenerone eunuco ingigantito con pessimi effetti di sovrimpressione in cui risulta spesso quasi trasparente fino addirittura a scomparire in alcuni frame dove, evidentemente, non è stato applicato correttamente il suo contorno sforbiciato alla cazzo di cane.
E' parlando di cani che dire poi di Indio? Il collie cagaminchia che inizia ad abbaiare nei primi dieci minuti e finisce accoltellato da un criminale, salvo poi resuscitare per il finale strappalacrime che però non c'entra una sega con il resto! La trama ve la risparmio, basti pensare che il mostro scongelato non fa altro che star dietro a due ragazzini, in particolare alla giovane Antonella Interlenghi a cui arriva (che schifo!) a pettinarle i capelli con una lisca di pesce smangiucchiato. Il Trash poi si eleva alla massima potenza quando sentiamo la bestia strillare come una gallina impazzita, scendere da un grattacielo sfondando una ad una le finestre con la bambolina di uno dei due ragazzini in mano.  
 C'è da dire però che il buon Mimmuzzo se la cava bene a livello di espressività e riesce quasi ad intenerire con le sue espressioni tra il perplesso e il corrucciato, di certo se l'intento era quello di generare terrore fallisce miseramente. Del resto siamo di fronte a un film costruito ad uso e consumo di un pubblico di ragazzini, e infatti andò benissimo nelle sale; questo nonostante la povertà degli effetti speciali, la mancanza totale di una fotografia degna di quel nome e la melensaggine generale che fa gridare vendetta. Guardandolo oggi sembra un  progetto costruito a tavolino per cultori di cinema spazzatura, degno collega di capolavori scult come "La Croce dalle Sette Pietre" o "Il bosco 1".

venerdì 24 febbraio 2012

NUDA PER SATANA

(ID 1974)


E venne il delirio... come Renato Polselli e anche più, Luigi Batzella (alias Paolo Solvay) realizza una delle pellicole più aberranti ( dal punto di vista cinematografico) e demenziali (dal punto di vista narrativo) che si conosca nel panorama di genere degli anni '70. Quel che è peggio in "nuda per Satana" non è tanto la confusione e la noia che emergono prepotenti dai fotogrammi, quanto la fastidiosa autoreferenzialità di un mestierante decisamente al di sotto delle sue possibilità.Raggiungere vette così basse era difficile ma il tentare di vendere al mondo il fatto che si cerca di girare un film artistico è forse la peggior colpa di Batzella, del quale, a livello di opera cinematografica di serie Z, preferisco senz'altro il più divertente "La bestia in calore ".


Qui troviamo la formosa e decisamente poco espressiva Rita Calderoni, già attrice prediletta da Polselli in "Riti, magie nere e segrete orge nel trecento " e "Delirio caldo", che spalanca gli occhioni e le cosce nella scena più scult della storia, ovvero lei imprigionata in una ragnatela fatta di corde da pescatore, mentre urla e si dimena minacciata da un ridicolo ragno di peluche e fil di ferro che viene palesemente spinto dai tecnici fuori campo. Una scena talmente grottesca e inutilmente lunga, da rasentare il ridicolo ai massimi livelli.
Per il resto la trama non lascia molto spazio all'interesse dello spettatore. C'è questo medico (Stelio Candelli) che deve raggiungere un casolare, sbaglia casa e incontra quello che poi si tramuterà nel diavolo (James Harris) o qualcosa del genere. Dopo aver assistito ad un incidente sulla strada, il dottore estrae dall'auto Susan (La Calderoli) e la porta all'interno di un misterioso castello che scova nelle vicinanze. Dopo è tutto un susseguirsi di rincorse e incontri con degli apparenti doppelganger dei due protagonisti appartenenti a epoche diverse.Qui Batzella lavora più di montaggio che altro riproponendoci ossessivamente sempre le stesse scene, la noia quindi viene sbalzata dal deja vu e il deja vu trova il suo zenith quando i due si trovano in mezzo a deliranti orge in cui il diavolo vestito come il Mago Silvan ride in continuazione trastullandosi con ancelle ignude e amanti del body painting che ballano felici in mezzo alla spoglia scenografia di una stanza adornata con teschi e fiammelle. Tra una scena di sesso saffico ultrapatinato, una rincorsa nei cortili del castello girata da angolazioni ardite e la faccia del maggiordomo sghignazzante (Renato Lupi) il film procede stancamente verso il finale in cui si rivela tutto un sogno, si, un sogno...come quello dello spettatore di riavere i soldi del biglietto all'uscita del cinema!

venerdì 17 febbraio 2012

BRIDE OF THE MONSTER

(Id. 1955)
Regia Edward D. Wood Jr.
Cast: Bela Lugosi, Tor Johnson, Tony McCoy

Chi ha decretato "Plan 9 from Outer space" come il più brutto film mai realizzato non deve aver visto quest'opera precedente del maestro Edward Wood Jr., una vera e propria aberrazione filmica realizzata quattro anni prima, la cui lavorazione è stata ampiamente documentata nel bellissimo "Ed Wood", affezionato omaggio di Tim Burton ad uno dei maestri del weirdo di tutti i tempi. Per rendersi conto della portata di questo capolavoro basti pensare alla scena finale dove Bela Lugosi, trasformatosi in un mostro butterato, finisce nella palude dove viene divorato dalla piovra gigante. Praticamente vediamo l'attore che si dimena come un matto muovendo da solo i tentacoli del polpo finto, rubato nottetempo nei Republic studios di Hollywood. Leggenda vuole che purtroppo la troupe si dimenticò di prelevare anche il motore del mollusco di gomma e che quindi Lugosi fu costretto a buttarsi in una pozza d'acqua gelida a simulare la lotta con la bestia finta. L'effetto finale, ormai entrato di diritto nel mito assoluto, è devastante, a questo poi si aggiunge un fulmine che colpisce la pozza e l'esplosione nucleare finale, mentre la polizia guarda sorpresa l'evento, come se fosse possibile osservare un fungo atomico a pochi metri di distanza! Ma la stessa scena del polipo si ripresenta ancora all'inizio e verso la metà del film quando anche il Prof. Vladimir Strowski, venuto dalla Russia per riportare a casa il diabolico dott. Vornoff, viene infilato in una stanza assieme al piovrone, qui però l'animale finto viene mosso con fili invisibili dando ancor più enfasi alla ridicolaggine generale.

 
Impagabile poi Tor Johnson, lottatore in pensione reclutato a basso costo da Wood nel ruolo di Lobo, ebete servo di Vornoff che cammina in punta di piedi con la bocca aperta in un'espressione totalmente stralunata. Ad un certo punto però Wood gli fa prendere in mano un cappellino d'angora che il gigante accarezza delicatamente, così tanto per esternare al mondo una delle manie del regista (quella dei maglioncini d'angora che si sommava al vizietto di vestirsi da donna).Lugosi recita qui il suo mitico monologo "Esiliato, disprezzato, costretto a vivere come un animale, la Giungla è la mia sola dimora, ecc. ecc." con tanto di manone che fanno quei movimenti ipnotici tanto cari all'attore ungherese che passa da espressioni tipo "ubriaco sorridente" a "incazzato gaudente" snocciolando dialoghi dal sapore delirante. Inizialmente intitolato "La sposa dell'Atomo", Bride of the monster fu uno dei pochi successi commerciali del regista che si presentò alla prima in abiti femminili, decretando così la fine del suo rapporto con Dolores Fuller, che qui appare in un breve ma prorompente cameo.

mercoledì 15 febbraio 2012

ZONTAR THE THING FROM VENUS

(Id. 1966)

Regia Larry Buchanan
Cast John Agar, Susan Bjurman, Tony Huston

Quando un pessimo regista come Larry Buchanan si mette a fare uno pseudo remake di un classico del cinema di serie Zeta come It Conquered the World, oltretutto girando un film per la televisione, non ci si può che aspettare un capolavoro del brutto ai più infimi livelli. Ed infatti Zontar raggiunge vette di sublime orrore e un livello di narcolessia totale nei confronti dello spettatore. Sequenze lentissime, inquadrature fisse che illustrano interminabili dialoghi fra scienziati dementi che, attraverso un'enorme ricetrasmittente nascosta nel ripostiglio dialogano amabilmente con  un venusiano, come faccia a capire quei suoni usciti da un theremin di bassa fedeltà rimane un mistero, in ogni caso la trama parte dal lancio di un satellite verso Venere, nonostante lo scienziato Keith (Tony Huston) sconsigli il responsabile dell'operazione, il dottor Curt (John Agar).

I rischi sono quelli di far incazzare la delegazione galattica che non ritiene i terrestri abbastanza progrediti da andare in giro per lo spazio. Intanto però il sedicente Zontar si frega la navicella e la usa per arrivare sulla terra dove, nascosto in una grotta, comincia a lanciare degli strani pupazzetti volanti a metà tra un'aragosta e un tafano, in giro per i cieli attaccandosi al collo dei malcapitati che incontra, i quali diventano subito schiavi del mostro. Complice di Zontar è Keith, nonostante la moglie (Susan Bjurman) cerchi in tutti i modi di fermarlo) ossessionato oltre ogni limite e sopratutto "per il bene dell'umanità".

Alla fine, l'ultimo contro nella grotta vedrà un vero e proprio massacro e sopratutto le terribili fattezze del mostro venusiano, sorta di demone che ricorda in faccia un ciuco con tre occhi e ali da pipistrello sulle spalle. La demenza del film si esprime ai massimi livelli quando vediamo Curt sventolare un attizzatoio per aria cercando di colpire l'alieno moscone. Decisamente imbarazzante poi la legnosità delle poche scene che si definiscono d'azione. In ogni caso non stiamo parlando di un film brutto e fatto male perchè visto con gli occhi di uno spettatore moderno, no no! Era brutto anche allora dal momento che manco in televisione fu trasmesso (pare infatti che tutti i canali si rifiutarono di prenderlo).

mercoledì 8 febbraio 2012

NIKOS THE IMPALER

(ID. 2003)
Regia Andreas Schnaas
Cast: Joe Zaso , lissa Rose , Andreas Schnaas

  
Personalmente non amo molto Schnaas, non tanto per la povertà estrema delle sue opere, quanto per la mancanza di ironia tutta teutonica che traspare dalle stesse ed in particolare dal suo pessimo esordio, quel "Violent Shit" che sembra volesse indossare persino un'aura autoriale totalmente fuoriluogo. Discorso diverso invece per questo "Nikos the Impaler", opera horror splatter che avvicina molto il regista tedesco al puro Troma style. Nonostante sia il suo quinto lungometraggio, Schnaas non sembra voler mettere la testa a posto dal punto di vista professionale, Nikos, nonostante l'ambientazione americana, è immerso da capo a piedi nell'amatorialità assoluta, con attori demenziali, assenza completa di fotografia, costumi rozzi e un'attitudine casalinga nelle sequenze, sopratutto quelle più dinamiche, che ne esaltano la grossolanità generale.
La prima parte, in particolare, risulta parecchio malfatta e noiosa, ove un professore universitario invita alcuni suoi studenti a partecipare ad una mostra sugli orrori in Romania, tra cui anche i resti del crudele Nikos, guerriero sadico e potente le cui vestigia furono però oscurate, dal punto di vista storico, dal ben più famoso "Vlad" che inzuppava il pane nel sangue dei suoi nemici. Durante la mostra un ladro cerca di aprire le casse conteneti il guerriero ma una guardia lo scopre, i due si sparano contro e il sangue dei cadaveri si versa sui resti di Nikos che risorge all'improvviso per vendicarsi su chi in passato (come si vede dal brutto flashback iniziale) aveva provocato la sua morte.
Tutta la prima ora vede quindi impegnato il guerriero a sbudellare, sfigurare e mutilare i visitatori del museo con ampio dettaglio di particolari splatter per la gioia dei numerosi fan del regista amburghese. Va un pò meglio nell'ultima mezz'ora dove Nikos esce dal museo per avventurarsi nelle strade della grande mela facendosi largo a colpi di spadone, dopo aver massacrato sotto la doccia una dotata commessa di una palestra, Nikos massacra alcuni clienti di un video-store, tra cui il leggendario patron della Troma Lloy Kaufman che interpreta se stesso intento a discutere con un critico la qualità di Terror Firmer. Non contento di ciò il soldato rumeno anima alcuni personaggi dei film tra cui due ninja, una sorta di imitazione di Elvira e Adolf Hitler, quest'ultimo però non ci sta ad essere sottomesso e quindi Nikos lo maciulla. Alla fine i protagonisti buoni riusciranno a uccidere il demonio levandogli la maschera in un tripudio di scassatissimi effetti visivi che sembrano realizzati con un Commodore 64 (e forse lo erano pure). Andreas Schnaas si concede il lusso di indossare maschera e armatura dell'impalatore, copre la colonna sonora di musicaccia metal montata alla rinfusa e va diritto al sodo, va un pò meglio rispetto ai vari violent shit e un poco ci si diverte, se non altro per il gusto della citazione che Schnaas tenta di propinarci, assieme al suo personalissimo modo di fare quello che, con un pò di buona volontà, potremmo anche chiamare "cinema".

lunedì 6 febbraio 2012

ALUCINAÇÕES SEXUAIS DE UM MACACO

(ID. 1986)
Della serie  "Ma dove li andiamo a trovare certi titoli noi di Odorama Exploitation Movie?" ecco un pregiato esempio della capacità tutta brasiliana di mettere in piedi una pellicola destinata al circuito delle sale a luci rosse utilizzando spezzoni girati (e magari scartati, per quanto in questo settore non si butta via niente) da altri film porno costruendoci sopra una storia, addirittura, dalle atmosfere surrealiste che sembra strizzare l'occhio al primissimo John Landis e alla sua passione per le scimmie. Certo il pretesto che tiene insieme la storia ha quasi del geniale, siamo in una villa sul mare dove una troupe sta girando un film porno, la protagonista, guarda caso, è una montatrice (ogni riferimento è puramente voluto) che passa tutto il giorno a controllare le scene girate in base al copione (operazione utilissima in un film dove le sequenze sono solo delle lunghissime scopate!) il che permette allo spettatore di visionare un pout pourri del miglior hard brasiliano completamente dissociato dal resto della trama. A un certo punto appendono, nell'ufficio della tipa, un costume da scimmia, il che evidentemente turba la ragazza al punto da procurarle visioni del macaco.  Dopo quasi un'ora di vari su e giù entra finalmente in scena lo scimmiotto, portato dalla troupe sul set per girare qualche scena. Il macaco (visibilmente un nano con costume) però non ne vuole sapere di copulare con le attrici, per cui toccherà alla protagonista sciogliere le reticenze del primate e fargli assaporare finalmente le gioie del sesso. L'intero film viene raccontato in terza persona dalla protagonista, ottimo sistema per risparmiare sui dialoghi e sui microfoni (tanto alla fine il montaggio sarà sempre "oooohhhh!" "aaaahhhh"). Alla fine tutto sembra essere un sogno, ma chi ha sognato alla fine? L'uomo (la donna) o la scimmia? Certo, visto il film, non è il caso di perdersi troppo in disgressioni filosofiche di questo genere, resta comunque un'esperienza demenziale e unica nel suo genere per un film che, in patria è già un cult. Da noi si aspetta una riscoperta di massa di tutto il trash brasiliano, una summa incredibile che prima o poi ci travolgerà completamente!     Da annotare almeno due momenti di massimo fulgore weirdo: 1) quando il macaco prende vita nella notte e si avvicina alla tipa che dorme apostrofandola "Bella Macachita!" 2) In una delle scene di sesso il partner scopre che la sua amante ha il pisello!   Dimenticavo, c'è pure un regista! Il sedicente Custódio Gomes, incompreso autore di decine e decine di pellicole di questo genere!

giovedì 2 febbraio 2012

NON APRITE QUELL'ARMADIO

(Monster in the Closet 1986)
Regia Bob Dahlin

Uscito da noi nei tardi anni '80  quando sembrava che tutti i film horror dovessero avere nel titolo una citazione di "Non Aprite quella porta" (Non aprite quel cancello, Non entrate in quella casa...non fate un cazzo di niente!), il film scritto e diretto da Bob Dahlin (più portato ad essere assistente direttore o direttore di seconda unità che regista) è una delle tante "Troma Release" che giravano in quegli anni portando con sè l'irriverenza volutamente trash della casa di Lloyd Kaufman, con pochi soldi e tanto citazionismo divertito e divertente.

In effetti  "Monster in the closet" appare sin da subito come una parodia del classico horror anche se man mano che si procede nella storia si vira decisamente verso il monster movie ad ampio respiro con tanto di sequenze di panico collettivo riciclate e scene di repertorio burlescamente montate in sovrimpressione mentre il mostro gira indisturbato per la città.
La storia è quella di una serie di misteriose sparizioni, un vecchietto (piccolo cameo per il grande John Carradine), il suo cane ed alcune ragazze, tutti nei pressi di un guardaroba. Gli assalti del mostro vengono infatti rappresentati fuori campo ed esemplificati attraverso lo spargimento di vestiti anzichè di sangue. Dal principio la stampa non da credito al caso e incarica uno sprovveduto giornalista (Donald Grant) detto Richard "don't call me Superman" Kent (per via della somiglianza con Clark Kent), più amante delle barrette al cioccolato che dei casi di cronaca nera. L'indagine lo porta a conoscere la giovane e avvenente biologa  Dianne Bennett (Denise DuBarry), con l'aiuto di un valente scienziato (Henry Gibson) i due ordiranno una trappola elettrificata per il mostro (un incrocio tra un bruco e un uomo di neardenthal che si muove attraverso i ripostigli) usando come esca una barretta di cioccolato duramente estorta al povero Richard.Niente da fare però e a quel punto il mostro rapisce il giovane reporter e se lo porta in braccio in giro per le strade. A quel punto l'unica soluzione per distruggerlo è fare in modo che tutti i ripostigli e gli armadi a muro vengano distrutti, e infatti vediamo la gente che prende ad accettate i camerini e gli spogliatoi. Il mostro non potendo più rifugiarsi da nessuna parte muore con in braccio ancora la sua preda. A quel punto non è chiaro se siamo di fronte ad una versione gay di King Kong o una sorta di MiniGodzilla senza futuro ma di certo il film è scorrevole e diverte al punto giusto, l'idea di base è delirante quanto basta per trasformare "Monster in the Closet" in un istant cult e dulcis in fundo, il film è impreziosito da questi piccoli cameo di grandi caratteristi del passato, oltre a Carradine e Gibson troviamo anche Claude Akins, Howard Duff e Stella Stevens.